Dr. Utr. Iur.

Frank

Van den Broeke

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L'Antiquarium, che ha sede nella Villa Barberini costruita su parte delle strutture della villa di Domiziano (81-96 d.C.), ospita in sette sale una raccolta di opere di notevole qualità provenienti, per la maggior parte dalla villa dell'imperatore, dal teatro e dal ninfeo Bergantino o di Diana (scavi 1841). All'interno si segnalano, per il particolare interesse, oltre ai pavimenti in opus spicatum, appartenenti agli ambienti della villa romana, i frammenti di rilievi storici di età domizianea (sala I), i materiali di vario tipo provenienti dal teatro privato di Domiziano i cui resti sono ancora visibili nel Parco (sale II e III), la bella raccolta di statue di atleti (sala IV), le sculture rinvenute nel ninfeo Bergantino, situato sulla riva del lago Albano e ispirato alla precedente grotta di Tiberio a Sperlonga, in particolare i resti dei gruppi scultorei dell'accecamento di Polifemo e di Scilla, (sale V e VI) e frammenti scultorei vari provenienti dall'area della Villa Pontificia (sala VII).

Castel Gandolfo


CASTEL GANDOLFO: DA RESIDENZA IMPERIALE A VILLA PONTIFICIA

Il visitatore che entra per la prima volta nelle Ville Pontificie di Castel Gandolfo non immagina certo di trovarsi di fronte ai cospicui resti di una delle più famose ville dell'antichità, l'Albanum Domitiani, la grandiosa residenza di campagna dell'imperatore Domiziano (81-96 d.C.), la quale si sviluppava per circa 14 chilometri quadrati dalla Via Appia fino a comprendere il lago Albano. Le Ville Pontificie si estendono sui resti della parte centrale della residenza, la quale includeva, secondo l'ipotesi formulata da insigni studiosi, anche l'Arx Albana, posta all'estremità della collina di Castel Gandolfo, dove ora si trova il Palazzo Pontificio, e che un tempo ospitava il centro dell'antica Albalonga.

La Villa di Domiziano era ubicata sul versante occidentale della collina, in posizione dominante sul mare Tirreno. Il pendio era stato tagliato in tre grandi ripiani digradanti verso il mare. Il primo, più in alto, comprendeva le abitazioni dei servi imperiali, i vari servizi e le cisterne, alimentate dalle sorgenti di Palazzolo - poste sulla sponda opposta del lago - mediante tre acquedotti, ancora in parte esistenti, che riforniscono la Villa papale e l'abitato di Castel Gandolfo. Sul ripiano mediano, delimitato a monte da un grande muraglione di sostruzione, interrotto da quattro ninfei a pianta alternatamente rettangolare e semicircolare, sorgevano il palazzo imperiale ed il teatro. Il ripiano inferiore comprendeva il criptoportico, la grande passeggiata coperta dell'imperatore, lungo in origine circa trecento metri. Il ripiano si spezzava poi in più terrazze successive, per lo più destinate a giardini, una delle quali comprendeva l'ippodromo.

In questa residenza, attrezzata anche per la stagione invernale, ricca di bellezze naturali e di sontuosi edifici, monumenti ed opere d'arte, Domiziano, il "calvo Nerone" come lo chiamava Giovenale, stabilì quasi in permanenza la sua dimora.

Alla morte di Domiziano la villa passò ai suoi successori, che però preferirono stabilire altrove le loro dimore. Adriano (117-138) vi trascorse qualche breve periodo in attesa che fosse portata a compimento la villa presso Tivoli e Marco Aurelio (161-180) vi si rifugiò per alcuni giorni durante la ribellione dell'anno 175. Alcuni anni dopo,Settimio Severo (193-211) vi installò, nella parte più a sud, i castra dei suoi fedelissimi legionari partici, i quali vi accamparono stabilmente con le loro famiglie.

Iniziava così la decadenza della villa imperiale i cui monumenti, già privati delle loro opere d'arte e di ogni prezioso ornamento, furono sistematicamente demoliti per impiegare marmi e laterizi nelle nuove costruzioni che diedero origine al primo nucleo abitativo della cittadina di Albano. Un altro insediamento, prevalentemente di agricoltori, si costituì a nord della villa sul crinale del lago verso "Cucuruttus" (l'attuale Montecucco) dando origine assai più tardi all'odierna Castel Gandolfo. L'imperatore Costantino (306-337), che aveva allontanato dal territorio i turbolenti legionari partici con le loro famiglie, tra i benefici conferiti alla basilica di San Giovanni Battista, l'attuale cattedrale di Albano, includeva anche la possessio Tiberii Caesaris, cioè l'area della villa domizianea.

Fatta eccezione per alcune memorie di atti censuari o patrimoniali che si riferiscono a queste terre, la storia tace fino al XII secolo. Non così le spoliazioni di marmi e di opere d'arte che continuarono a lungo. Nel XIV secolo il saccheggio divenne sistematico, alla ricerca di marmi per la costruzione del duomo di Orvieto.

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Intorno al 1200 sulla collina viene costruito, forse sulle rovine dell' antica Albalonga, il castello della famiglia genovese dei Gandolfi, da cui prende il nome l'odierna Castel Gandolfo. La rocca era una fortezza quadrata posta al culmine della collina con alte mura merlate ed un piccolo cortile ancora esistente, circondata da un possente bastione che la rendeva pressoché inespugnabile. Dopo alcuni decenni, passò in proprietà dei Savelli che, con alterne vicende, la tennero per circa tre secoli.

Fu nel luglio del 1596, sotto il pontificato di Clemente VIII Aldobrandini (l592-1605), che la Camera Apostolica prese possesso di Castel Gandolfo e di Rocca Priora, con la bolla detta Congregazione dei Baroni, togliendoli ai Savelli che si erano rifiutati di onorare un debito di 150.000 scudi. Più tardi parte del debito venne restituita e Rocca Priora ritornò ai Savelli mentre Castel Gandolfo venne dichiarata patrimonio inalienabile della Santa Sede ed incorporata definitivamente, con decreto concistoriale del 27 maggio 1604, nel dominio temporale della Chiesa.

Paolo V Borghese (1605-1621 ), sollecitato dalla comunità di Castel Gandolfo, dotò la cittadina e la rocca di acqua in abbondanza, provvedendo a far restaurare l'acquedotto che portava le acque dalle sorgenti di Malafitto, l'odierna Palazzolo. Si preoccupò inoltre di rendere più salubre la zona, prosciugando dalle acque palustri il laghetto di Turno, come ricorda una delle lapidi collocate sul fronte del Palazzo Pontificio.

Urbano VIII Barberini (l623-1644), che già da Cardinale amava soggiornare a Castel Gandolfo, fu il primo Papa a villeggiare in questa residenza, nella primavera del 1626, una volta terminati i lavori di sistemazione ed ampliamento del Palazzo, affidati a Carlo Maderno, coadiuvato da Bartolomeo Breccioli e Domenico Castelli come sottoarchitetti. Incorporata la rocca con opportuni rifacimenti, fu costruita l'ala del palazzo verso il lago e la parte sinistra dell'attuale facciata, fino al portone di ingresso. Fu pure impiantato il giardino del palazzo (Giardino del Moro), di modeste proporzioni, tuttora fedele al disegno originario, con alcuni viali che lo tagliano a riquadri regolari, segnati da siepi di mortella. Il fiorentino Simone Lagi provvide a decorare con affreschi la Cappella privata, il piccolo Oratorio contiguo e la Sacrestia. All'opera di Urbano VIII sono legate anche le due suggestive strade alberate, dette "Galleria di sopra" e "Galleria di sotto" che costeggiano la Villa Barberini e collegano Castel Gandolfo con Albano.

Alessandro VII Chigi (1655-1667) completò la costruzione del Palazzo pontificio con la nuova facciata verso la piazza e l'ala verso il mare, con la grande galleria costruita su disegno e con l'assistenza del Bernini.

Clemente XIV Ganganelli (1769-1774), allo scopo di dotare la proprietà di uno spazio più idoneo per le passeggiate a piedi, data l'angustia del piccolo giardino di Urbano VIII, nel marzo 1773 ampliò la residenza con l'acquisto dell' adiacente Villa Cybo. Nel 1717, quando era ancora Uditore della Camera Apostolica, il Cardinale Camillo Cybo si era fatto cedere dall'architetto Francesco Fontana "per sua nobile abitazione e Villa" la palazzina che questi aveva costruito per sé. Successivamente aveva acquistato, di fronte alla costruzione, un'appezzamento di terreno, dell'estensione di circa tre ettari, che confina in alto con il borgo di Castel Gandolfo ed in basso, verso il mare, con la strada denominata "Galleria di sotto" e lo aveva trasformato in uno splendido giardino, ricco di marmi, statue e fontane di grande pregio. Questa sontuosa Villa aveva purtroppo un grave difetto: quello di avere il palazzo ed il giardino separati dalla pubblica via, la "Galleria di sotto" appunto. Il Cardinale aveva in animo di collegarli con un cavalcavia, all'altezza del piano nobile del giardino. Il progetto non si realizzò mai, non sappiamo se per mancanza di tempo o di soldi. Morto il Cardinale Cybo nel 1743, la villa passò agli eredi che la vendettero al duca di Bracciano, don Livio Odescalchi. Clemente XIV se la fece cedere alle stesse condizioni, e cioè per 18.000 scudi.

Nel 1870, con la fine dello Stato Pontificio, iniziò per la residenza papale di Castel Gandolfo un lungo periodo di abbandono e di oblio durato sessanta anni. Infatti, pur se la legge delle Guarentigie aveva assicurato al Palazzo di Castel Gandolfo "con tutte le sue attinenze e pertinenze" le stesse immunità del Vaticano e del Laterano, dopo la presa di Roma i Papi non uscirono più dal Vaticano.

Soltanto a seguito dei Patti Lateranensi tra la Santa Sede e l'Italia (1929), che ponevano fine alla spinosa "Questione romana", Castel Gandolfo tornò ad essere la residenza estiva dei Papi. Nel corso dei negoziati venne anche esaminata l'eventualità di destinare al soggiorno dei Pontefici la Villa Farnese di Caprarola oppure la Villa Doria Pamphilj sul Gianicolo. Ma alla fine la tradizione storica prevalse. Le Ville Pontificie assunsero le attuali dimensioni con l'acquisizione del complesso della Villa Barberini, dove furono impiantati giardini di nuovo disegno tra i quali meritano una particolare menzione quelli del Belvedere. Era questa la Villa che Taddeo Barberini, nipote di Urbano VIII, aveva realizzato acquistando nel 1628 terreni e vigneti corrispondenti al terrazzamento centrale della residenza domizianea e successivamente, nel 1631, la proprietà di Monsignor Scipione Visconti che comprendeva un palazzetto poi trasformato e ampliato, probabilmente su progetto del Bernini. Assai più tardi, al principio del secolo seguente, dinanzi al palazzo sarà collocata l'elegante cancellata ingegnosamente disposta in modo da consentire il passaggio degli ingombranti equipaggi del tempo, malgrado la ristrettezza dello spazio.

Dopo il 1929, si provvide ad eseguire importanti lavori di consolidamento e ristrutturazione del Palazzo pontificio per adattarlo alle nuove esigenze e ad effettuare i collegamenti tra le tre ville (Giardino del Moro, Villa Cybo e Villa Barberini) mediante il cavalcavia che unisce il tenimento Barberini con Villa Cybo e poi con la loggia che, da quest' ultima, conduce al Palazzo al di sopra della pubblica strada, sull' arco dell' antica Porta romana.

Nel Palazzo di Castel Gandolfo fu pure trasferito dal Vaticano, nel 1934 l'Osservatorio Astronomico affidato ai Padri Gesuiti, essendo venuta a mancare nella regione circostante l'oscurità notturna necessaria per le osservazioni della volta celeste.


I PAPI A CASTEL GANDOLFO

Nell'estate del 1623 veniva eletto al Soglio pontificio il Cardinale Maffeo Barberini che assumeva il nome di Urbano VIII (l623-1644). Già parecchi anni prima il Cardinale aveva scelto per la villeggiatura Castel Gandolfo, sia per la sua incomparabile posizione panoramica, sia perché da lui considerato il luogo più salubre dei castelli romani, e a tale scopo si era costruita una modesta dimora, in prossimità delle mura del Castello, al piano superiore del torrione che ancora adesso sovrasta la Porta romana. Sono tuttora esistenti fuori delle mura, nelle vicinanze dello stesso torrione, le scuderie. Fu quindi naturale che, una volta eletto Papa, Urbano VIII scegliesse Castel Gandolfo come residenza estiva, decidendo quindi di riadattare la vecchia rocca Gandolfì-Savelli allo scopo di "provvedere ancora che i Papi avessero comodità di villeggiare nei propri palazzi, non parendogli conveniente di valersi delle case altrui", come annota il suo biografo Andrea Nicoletti. Dopo aver villeggiato per due anni a Frascati, ospite del Cardinale Scipione Borghese, il 10 maggio 1626 Urbano VIII fissò finalmente la partenza per la prima villeggiatura a Castel Gandolfo.

"Dopo il 1626 Urbano VIII ritornò fedelmente per altri undici anni alla Villa, per due volte all'anno... in aprile o, per lo più, in maggio ed una seconda volta nel mese di ottobre" per una durata da due a tre settimane. "Egli aveva una sua giornata metodica e non gli mancava mai, nelle ore di svago, la compagnia di letterati e di eruditi... Amava soprattutto le passeggiate a piedi che, specie nei primi anni, alternava sovente con lunghe cavalcate nei boschi... Durante le sue villeggiature, perché gli affari di governo non subissero remore, Urbano VIII riceveva, come d'ordinario, ministri e ambasciatori" (da Emilio Bonomelli, ibidem, p. 52). Dopo la malattia del 1637 che fece addirittura temere per la sua vita, Urbano VIII rinunciò definitivamente a villeggiare nella Villa a cui era tanto affezionato per la convinzione, sua e dei medici, che ormai gli giovasse maggiormente l'aria più pesante di Roma.

Il successore di Urbano VIII, Innocenzo X Pamphilj (1644-1655), non venne mai a Castel Gandolfo nei suoi dieci anni di pontificato e raramente si allontanò da Roma.

Non così Alessandro VII Chigi (1655-1667) che soggiornò regolarmente a Castel Gandolfo due volte l'anno, in primavera e in autunno, per periodi variabili da 20 giorni ad un mese. Papa Chigi era particolarmente sensibile alle bellezze del lago e del verde circostante, propizie alle meditazioni e ai silenzi, ed era solito fare lunghe passeggiate per i viali tracciati tra i boschi di lecci e di castani. Ed infine lo attiravano le gite sul lago che percorreva su un grosso brigantino che era stato trasportato appositamente a Castel Gandolfo da Ripa Grande. Alessandro VII affidò al Sernini la costruzione della Chiesa parrocchiale di Castel Gandolfo, dedicata a San Tommaso da Villanova, l'arcivescovo di Valencia da lui stesso canonizzato nel 1658, mentre la Cripta fu dedicata a San Nicola.

Nessuno dei successori di Papa Chigi lasciò più Roma per la residenza estiva nei seguenti 44 anni. Soltanto Innocenzo XII Pignatelli (1691-1700) il 27 aprile 1697 pernottò a Castello, in occasione del suo viaggio ad Anzio e Nettuno, per ripartire l'indomani mattina. Giunto sulla piazza in una sera di nebbia e di pioggia il luogo gli apparve tanto uggioso che non fu invogliato a ritornavi.

Clemente XI Albani (1700-1721) passò i primi nove anni del suo pontificato senza mai allontanarsi da Roma. Ma dopo una grave malattia nell'estate del 1709, nel maggio del 1710 si recò a Castel Gandolfo su consiglio dei medici e, visti i buoni risultati, vi ritornò per sei anni di seguito fino al 1715. Durante il suo primo soggiorno castellano Papa Albani emanò un rescritto con il quale conferiva a Castel Gandolfo il titolo di "Villa Pontificia". Tale riconoscimento, durato fino alla fine dello Stato Pontificio, comportava, per i cittadini di Castel Gandolfo, il privilegio di essere sottratti alla giurisdizione delle comuni magistrature amministrative e giudiziarie e di essere assoggettati a quelle speciali del Prefetto del Palazzo Apostolico e Maggiordomo. I soggiorni di Papa Albani furono improntati a grande dimestichezza con i castellani, specie i più poveri, che il Papa fece destinatari di numerose liberalità. A Clemente XI si debbono i lavori fatti a Palazzo per restaurarlo dopo il lungo abbandono e gli abbellimenti apportati al paese il cui nucleo abitativo si era notevolmente ampliato. Una lapide posta all'inizio del corso di Castel Gandolfo, tuttora esistente, ricorda le opere realizzate dal Papa a beneficio della cittadina.

Clemente XIII Rezzonico (1758-1769), succeduto a Papa Lambertini nel 1758, fin dall'anno seguente si recò a Castel Gandolfo. Il cambiamento d'aria che gli era stato consigliato dai medici gli giovò in modo così evidente che egli vi fece ritorno per altri sei anni, per periodi di circa un mese, fino al 1765. Solo negli ultimi tre anni le preoccupazioni sempre crescenti del suo pontificato gli impedirono di salire a Castello come avrebbe desiderato. Il suo nome resta legato alle preziose suppellettili ed opere d'arte con le quali arricchì la Chiesa parrocchiale e alla Cappella privata del Palazzo. Una lapide collocata sulla Porta romana ricorda i lavori ordinati dal Papa per ampliarla e per addolcire la strada di accesso.

Il suo successore Clemente XIV Ganganelli (1769-1774) occupò il Soglio pontificio per poco più di cinque anni e per ben cinque volte, nell' autunno di ogni anno, trascorse le sue vacanze a Castello. Di natura vivace ed esuberante, di umore gaio e faceto, egli era desideroso di moto e di svago. A Castel Gandolfo perciò "non si limitava alle brevi passeggiate a piedi, per le famose gallerie e per le ville, ma spesso usciva a cavallo dal palazzo. .. in un costume bianco da viaggio con stivali e tricorno bianchi" (ibid., p. 149). E, una volta fuori dell'abitato, amava lanciare il suo cavallo a tale velocità che nessuno del seguito e della scorta gli potesse tener dietro. Ma nel 1771, dopo essere caduto due volte da cavallo ed essersi ferito ad una spalla, fu convinto dai familiari a rinunciare definitivamente al suo svago preferito. Nel 1773 ampliò la residenza pontificia con l'acquisto dell'adiacente villa Cybo.

Pio VI Braschi, eletto nel 1775, durante il lungo pontificato durato un quarto di secolo non soggiornò mai nella residenza estiva. Durante il suo regno, il 27 febbraio 1798 avveniva a Castello il sanguinoso scontro degli abitanti dei Castelli Romani (in particolare di Castel Gandolfo, Albano e Velletri) rimasti fedeli al Papa con le truppe di Gioacchino Murat. Gli insorti, dopo aver combattuto strenuamente, si rifugiarono nel Palazzo pontificio che fu sfondato a cannonate e saccheggiato dai francesi.

Il 14 marzo 1800 veniva eletto a Venezia Pio VII Chiaramonti (1800-1823) che nel 1803 riapriva il Palazzo di Castel Gandolfo dopo aver provveduto ai necessari lavori di restauro e alla provvista del mobilio. Vi ritornava nel 1804 e nel 1805 finché la procella napoleonica, prima con l'invasione degli Stati della Chiesa e infine con la prigionia stessa del Papa, rese nuovamente impossibile il soggiorno pontificio. Dopo la sua liberazione, avvenuta il 17 marzo 1814, e l'abdicazione di Napoleone, nel mese di ottobre di quell'anno Papa Chiaramonti poté finalmente riprendere le sue vacanze autunnali a Castel Gandolfo, che costituirono forse l'unico momento di pace nelle tormentate vicende del suo pontificato.

Papa Leone XII Della Genga (l823-1829) si recò a Castel Gandolfo un solo giorno, il 21 ottobre 1824, ospite dei Cappuccini di Albano ma, pur visitando la Chiesa sulla piazza, non mise piede nella residenza pontificia che non riscuoteva le sue simpatie.

Nemmeno il suo successore Pio VIII Castiglioni (1829-1830), nel suo breve pontificato durato 20 mesi, salì mai a Castello.

Nel 1831 veniva eletto Papa Gregorio XVI Cappellari (1831-1846): le sue vacanze a Castello, quasi sempre in ottobre, sono state piuttosto assidue, segnate dal suo stile semplice di monaco camaldolese. Da Castello, nel 1845, Papa Cappellari si spinse un giorno fino a Tivoli, al Collegio dei Gesuiti, dove poté contemplare le prime dagherrotipie e, incuriosito, posare davanti al fotografo. Poté inoltre assistere con grande interesse a certe prove di illuminazione elettrica e osservare un modellino di battello a vapore.

Pio IX Mastai Ferretti (1846-1878) fece a Castello villeggiature brevi e saltuarie nelle stagioni più diverse, alternandole con alcuni soggiorni al Porto di Anzio. Egli non aveva infatti un particolare trasporto per la vita di campagna e, più di questa, amava la città nella quale soleva muoversi abbastanza disinvoltamente. I vecchi castellani si tramandano i ricordi di Papa Mastai che con grande semplicità usciva a piedi per il paese, entrava nelle case del borgo e spesso, trovata la pentola sui fornelli, ne sollevava il coperchio per rendersi conto se il cibo fosse sufficiente, sopperendo, in caso contrario, con elargizioni in denaro. A Castel Gandolfo Pio IX concedeva udienza con una larghezza mai usata dai suoi predecessori e negli ultimi anni, con la crescente facilità dei viaggi, si videro arrivare nella cittadina, anche a gruppi numerosi, i pellegrini stranieri. L'ultimo soggiorno castellano di Papa Mastai durò dal 28 al 3l maggio 1869 e fu ispirato esclusivamente dal desiderio di venerare il miracoloso Crocifisso di Nemi del quale si celebrava quell'anno il secondo centenario. Erano gli ultimi mesi di vita dello Stato pontificio, che avrebbe visto la fine con la presa di Porta Pia, il 20 settembre 1870.

Anche se dopo il 1870 e fino alla Conciliazione i Papi non uscirono mai dal Vaticano, non per questo si interruppe il loro legame affettivo con la cittadina di Castel Gandolfo. Pio IX aveva accolto nel Palazzo, dopo il 1870, due comunità di clausura, una di Monache basiliane provenienti dalla Polonia russa, l'altra di Clarisse che avevano dovuto lasciare il loro convento di Albano per l'incameramento dei beni ecclesiastici. Papa Leone XIII Pecci (1878-1903) - che aveva donato alla Chiesa parrocchiale due artistici lampioni-candelabro che ne ornano il sagrato - chiamava amabilmente "Il piccolo Castel Gandolfo" il torrione delle mura di Leone IV in Vaticano, nel quale sostava qualche volta in estate. Pio X Sarto (1903-1914) e Benedetto XV Della Chiesa (1914-1922) fecero costruire due edifici che tuttora portano il loro nome, da destinare a case popolari per i castellani meno abbienti. Pio X fece pure allestire nel Palazzo un appartamento per il soggiorno estivo del suo Segretario di Stato, il Cardinale Raffaele Merry del Val che vi trascorse periodi di circa un mese, tra agosto e settembre, dal 1904 al 1907.

Pio XI Ratti (1922-1939) può considerarsi il primo Papa dei tempi moderni ad aver soggiornato a Castel Gandolfo. Compiuti in tempi brevi gli indispensabili lavori di riadattamento della antica residenza, i suoi soggiorni, dai due mesi iniziali, arrivarono fino a sei mesi l'anno, dal 1934 al 1938. Nell'appartamento papale Pio XI fece costruire una nuova Cappella privata e vi fece collocare la riproduzione del quadro della Madonna di Czestochowa, dono dei vescovi polacchi, mentre le pareti laterali furono affrescate dal pittore Rosen di Leopoli con due fatti di storia antica e recente della Polonia: da una parte la resistenza di Czestochowa nel 1655 contro gli svedesi di Gustavo Adolfo e dall'altra la vittoria di Varsavia contro i bolscevichi del 15 agosto 1920, denominata "miracolo della Vistola". Pio XI aveva infatti trascorso in Polonia gli anni dal 1918 al 1921, prima come Visitatore e poi come Nunzio Apostolico. Dal Palazzo di castello, al tramonto della sua giornata terrena, il Papa levò più volte la voce per denunciare le nefaste dottrine del nazionalismo razziale, giungendo, nel memorabile radiomessaggio del 29 settembre 1938, ad offrire la sua vita per salvare la pace.


Pio XII Pacelli (1939-1958) nel suo primo anno di pontificato si recò a Castel Gandolfo e nel mese di luglio emanò "ex arce Gandulphi" la sua prima enciclica Summi Pontificatus. Da qui, il 24 agosto 1939, inviava per radio l'estremo appello alle nazioni per scongiurare il conflitto: "Imminente è il pericolo, ma è ancora tempo. Nulla è perduto con la pace. Tutto può esserlo con la guerra". Il Papa, impegnato in una instancabile opera di pace, non tornò a Castel Gandolfo negli anni della guerra e la residenza diventò punto di riferimento ed asilo sicuro per le popolazioni locali. Dopo gli avvenimenti seguiti all'8 settembre 1943 le popolazioni di Castel Gandolfo e dei paesi vicini, prese dal panico, si rifugiarono nelle Ville Pontificie, che godono dei privilegi della extraterritorialità, finché non tornò la calma. Ma il 22 gennaio 1944, dopo lo sbarco di Anzio, essendo ormai tutta la zona divenuta fronte di guerra, gli abitanti di Castel Gandolfo e dintorni di nuovo accorsero ai vari ingressi delle Ville: si calcola che a dodicimila assommassero le persone che vi trovarono rifugio in quel triste periodo e vi rimasero fino alla liberazione di Roma, avvenuta il 4 giugno. L'appartamento papale fu riservato alle partorienti e vi nacquero in quei mesi circa quaranta bambini. Furono purtroppo numerose anche le vittime dei bombardamenti che si verificarono ai confini delle Ville: il primo febbraio di quell'anno furono distrutti i Conventi delle Clarisse e delle Basiliane e 18 suore vi persero la vita; il 10 febbraio uguale sorte toccò al Collegio di Propaganda Fide, con oltre 500 morti e numerosi feriti.


Soltanto il 22 agosto del 1946 il Papa riprese i soggiorni estivi a Castello, che si susseguirono regolarmente ogni anno fino al 1958, per periodi anche di cinque mesi. Se si eccettua il periodo della guerra si può dire che Papa Pacelli ha trascorso a Castel Gandolfo quasi un terzo del suo pontificato. E proprio a Castel Gandolfo Papa Pacelli, all'alba del 9 ottobre 1958, chiudeva la sua giornata terrena, primo Papa nella storia di questa residenza.

Il 28 ottobre veniva eletto Giovanni XXIlI Roncalli (1958-1963) che, pochi giorni dopo, si recò a Castello. Una lapide posta all'interno della chiesa parrocchiale ricorda la munificenza del Papa che volle restituito il tempio e la cripta sottostante al loro primitivo decoro. Papa Giovanni instaurò due tradizioni a Castel Gandolfo: la recita dell'Angelus la domenica mattina nel cortile del Palazzo e la Santa Messa in parrocchia per la festività dell'Assunta.

Paolo VI Montini (1963-1978) dopo alcune settimane dalla sua elezione, avvenuta il 21 giugno, venne a Castel Gandolfo il 5 agosto per il soggiorno estivo e vi ritornò ogni anno, da metà luglio a metà settembre. Il carattere schivo e riservato non gli ha impedito di stabilire con gli abitanti di Castel Gandolfo e delle Ville un rapporto di affettuosa cordialità e di paterna sollecitudine. Quale fosse la sua giornata a Castello ebbe a descriverlo Lui stesso durante l'Angelus del 13 agosto 1972: "Anche noi godiamo un po' di questo dono che il Signore ci regala. Respiriamo quest' aria buona, ammiriamo la bellezza di questo quadro naturale, gustiamo l'incanto della sua luce e del suo silenzio e anche cerchiamo qualche ristoro alle nostre povere forze che sono sempre scarse e ora anche un po' stanche...". L'Anno Santo del 1975, che vide affluire a Roma numerosissimi pellegrini, indusse il Papa a recarsi in Vaticano ogni mercoledì per le Udienze generali. Iniziarono allora quegli spostamenti settimanali in elicottero che consentono al Papa di raggiungere rapidamente il Vaticano senza turbare il normale svolgersi del già congestionato traffico stradale sulla via Appia. Numerose sono le opere volute e realizzate da Paolo VI a favore della popolazione di Castel Gandolfo, quali la moderna Scuola elementare pontificia che ora porta il Suo nome, la chiesa di San Paolo con annesso complesso per le opere pastorali nell'omonimo popoloso quartiere sorto a ridosso della Via Appia, e la chiesa della Madonna del Lago. Il 14 luglio 1978 il Papa si trasferì a Castel Gandolfo rinnovando come ogni anno la speranza che la salubrità dell'aria lo rimettesse, come di consueto, in forze. Ma domenica 6 agosto, a causa di un accesso di febbre, non poté affacciarsi al balcone del Palazzo per la recita dell'Angelus e in serata rendeva la sua anima a Dio.

Giovanni Paolo I Luciani, eletto il 26 agosto 1978, non ebbe la possibilità di recarsi a Castel Gandolfo nel corso del suo breve pontificato, durato appena 33 giorni.

Nel pomeriggio di domenica 8 ottobre il Cardinale Karol Wojtyla, Arcivescovo di Cracovia, presente a Roma per il Conclave, si recava nelle Ville Pontificie per trascorrervi qualche ora in serena tranquillità. Dopo otto giorni, nel pomeriggio del 16 ottobre 1978, i romani e i pellegrini accorsi in Piazza San Pietro dopo la fumata bianca, acclamavano in Lui il primo Papa polacco della storia, che assumeva il nome di Giovanni Paolo Il. Il Pontefice a Castel Gandolfo non si fece aspettare; troppo a lungo la cittadina era rimasta nel lutto per la morte di due Pontefici in meno di due mesi. Giunto sulla piazza di Castel Gandolfo nel pomeriggio del 25 ottobre, veniva accolto dall'entusiasmo dei castellani, da Lui subito salutati come "concittadini".

Benedetto XVI


Nel pomeriggio del 5 maggio 2005, a pochi giorni dalla Sua elezione avvenuta il 19 aprile, il Santo Padre Benedetto XVI giungeva a Castel Gandolfo in elicottero per la Sua prima visita al Palazzo Apostolico ed alle Ville Pontificie.

Successivamente, dalla loggia sulla Piazza di Castel Gandolfo, salutava la popolazione locale che, accorsa in gran numero, Lo accoglieva con indicibile entusiasmo.

Il 28 luglio il Santo Padre iniziava la Sua prima villeggiatura in questa antica residenza dei Papi che durava fino al 28 settembre, interrotta dal viaggio a Colonia dal 18 al 21 agosto, in occasione della XX Giornata Mondiale della Gioventù.

Riprendendo una tradizione instaurata dal Santo Padre Giovanni Paolo II, nel pomeriggio del 16 aprile 2006, Pasqua di Resurrezione, il Santo Padre si trasferiva a Castel Gandolfo per un breve periodo di riposo fino al venerdì 21.

Il soggiorno estivo aveva inizio il 28 luglio e durava fino al 4 ottobre. Da qui il 9 settembre il Santo Padre partiva per il Viaggio Apostolico in Baviera e faceva rientro in questa residenza il 14 settembre.

Anche nel 2007, l'8 aprile, Pasqua di Resurrezione, il Santo Padre è venuto a Castel Gandolfo per una breve permanenza fino a venerdì 13 aprile e vi è ritornato il 14 maggio, dopo il Viaggio Apostolico in Brasile, trattenendosi fino a venerdì 18.


Da quattro secoli l'antico borgo di Castel Gandolfo ha così il privilegio di divenire ogni anno, per qualche mese, il centro della Cristianità.

In questo Vaticano minore, posto sulla collina che si affaccia sul lago Albano e si apre alla vista della campagna romana, a contatto diretto con la natura ed il clima salubre dei luoghi, il Papa ritempra le Sue forze che prodiga senza risparmio per il bene dell'intera umanità.  

CRONOLOGIA DEI SOGGIORNI PAPALI A CASTEL GANDOLFO

URBANO VIII (1623-1644)

1626: 10-20 maggio; 8-26 ottobre

1627: 1-10 maggio; 15-27 ottobre

1628: 7-19 maggio; 18-29 ottobre

1629: 9-22 maggio; 15-29 ottobre

1630: 22 aprile - 7 maggio; 15-29 ottobre

1631: 13-27 maggio; 11-29 ottobre

1632: 28 aprile-19 maggio; 30 settembre- 30 ottobre

1633: 18 aprile-3 maggio; 1-29 ottobre

1634: 29 aprile-23 maggio; 1-29 ottobre

1635: 18-25 maggio; 8-18 giugno; 19-30 ottobre

1636: 15-29 aprile; 23 maggio-7 giugno; 6-30 ottobre

1637: 10 maggio-6 giugno; 19-29 ottobre

ALESSANDRO VII (1655-1667)

1655: 4-21 maggio

1657: 24 aprile-9 maggio; 11-19 maggio; 4-25 ottobre

1658: 5-28 maggio; 2-28 ottobre

1659: 28 aprile- 20 maggio; 2-30 ottobre

1660: 20 aprile-4 maggio; 6-15 maggio; 1-30 ottobre

1661: 27 aprile-23 maggio; 3 ottobre-6 novembre

1662: 19 aprile-16 maggio

1663: 3-23 maggio; 9 ottobre-6 novembre

1664: 5-19 maggio; 7-29 ottobre

1665: 24 aprile-13 maggio; 14 maggio-1 giugno

CLEMENTE XI (1700 – 1721)

1710: 21 maggio-16 giugno

1711: 8-27 giugno

1712: 8-26 giugno

1713: 5-28 giugno

1714: 7 ottobre-9 novembre

1715: 9 ottobre-11 novembre

BENEDETTO XIV (1740-1758)

1741: 3-6 giugno; 28 settembre-30 ottobre

1742: 27 maggio-27 giugno; 27 settembre-30 ottobre

1743: 24 maggio-27 giugno

1745: 15 maggio-15 giugno

1746: 7 maggio-7 giugno

1747: 3-26 giugno

1748: 24 maggio-26 giugno

1749: 26 maggio-26 giugno

1750: 28 maggio-26 giugno

1751: 27 maggio-27 giugno

1752: 25 maggio-26 giugno

1753: 1-26 giugno

1754: 27 maggio-26 giugno

1755: 25 maggio-26 giugno

1756: 28 maggio-26 giugno

CLEMENTE XIII (1758-1769)

1759: 3-12 giugno; 15-27 giugno; 3-26 ottobre

1760: 27 settembre-25 ottobre

1761: 30 maggio-26 giugno; 28 settembre-26 ottobre

1762: 28 settembre-26 ottobre

1763: 4-25 giugno; 28 settembre-24 ottobre

1764: 25 settembre-26 ottobre

1765: 10-26 giugno; 25 settembre-25 ottobre

CLEMENTE XIV (1769-1774)

1769: 27 settembre-26 ottobre

1770: 26 settembre-28 ottobre

1771: 25 settembre-28 ottobre

1772: 21 settembre-28 ottobre

1773: 21 settembre-28 ottobre

PIO VII (1800-1823)

1803: 3-29 ottobre

1804: 9-27 ottobre

1805: 2-29 ottobre

1814: 5-29 ottobre

1815: 18 settembre-30 ottobre

1816: 6-21 maggio; 1-29 ottobre

1817: 11 maggio-3 giugno; 6 giugno-1 luglio

GREGORIO XVI (1831-1846)

1831: 6-20 ottobre

1832: 1-20 ottobre

1833: 5-21 ottobre

1834: 9-23 ottobre

1835: 8-13 ottobre

1836: 17-22 ottobre

1839: 7-9 ottobre

1840: 16 giugno-14 agosto; 16 agosto-17 settembre

1842: 4-8 ottobre

1843: 2-9 ottobre

1844: 30 settembre-7 ottobre

PIO IX (1846-1878)

1851: 1-15 luglio

1852: 9-26 settembre

1855: 7-23 maggio

1858: 5-20 maggio

1859: 6-17 ottobre

1862: 6-18 ottobre

1864: 18 luglio-14 settembre

1865: 12 luglio-13 settembre

1869: 28-31 maggio

PIO XI (1922-1939)

1934: 1 agosto-22 settembre

1935: 31 luglio-30 settembre

1936: 30 giugno-30 settembre

1937: 1 maggio-30 ottobre

1938: 30 aprile-28 ottobre

PIO XII (1939-1958)

1939: 24 luglio-28 ottobre

1946: 22 agosto- novembre

1947: 31 luglio-29 novembre

1948: 29 luglio-27 novembre

1949: 4 agosto-26 novembre

1950: 16 luglio-28 ottobre

1951: 12 luglio-1 dicembre

1952: 19 luglio-29 novembre

1953: 25 luglio-28 novembre

1954: 31 luglio-27 novembre

1955: 30 luglio-26 novembre

1956: 14 luglio-10 novembre

1957: 24 luglio-16 novembre

1958: 24 luglio-9 ottobre

GIOVANNI XXIII (1958–1963)

1958: 21 novembre

1959: 19 luglio-24 settembre

1960: 25 luglio-23 settembre

1961: 16 luglio-30 settembre

1962: 15 luglio-1 settembre

PAOLO VI (1963-1978)

1963: 5 agosto-11 settembre

1964: 15 luglio-12 settembre

1965: 19 luglio-12 settembre

1966: 16 luglio-17 settembre

1967: 26 luglio-6 settembre

1968: 17 luglio-22 agosto; 25 agosto-19 settembre

1969: 10 luglio-31 luglio; 13 agosto-13 settembre

1970: 16 luglio-17 settembre

1971: 15 luglio-16 settembre

1972: 15 luglio-21 settembre

1973: 14 luglio-19 settembre

1974: 17 luglio-18 settembre

1975: 17 luglio-13 settembre

1976: 15 luglio-21 settembre

1977: 14 luglio-22 settembre

1978: 14 luglio-6 agosto

GIOVANNI PAOLO II (1978-2005)

1978: 25 ottobre

1979: 4-6 gennaio; 4-6 febbraio; 16-18 aprile; 30 maggio; 11-13 giugno; 15 luglio-15 settembre; 8-10 ottobre; 26-31 dicembre

1980: 17-19 febbraio; 7-11aprile; 2-5 giugno; 13 luglio-20 settembre; 19-22 novembre; 26-30 dicembre

1981: 27 febbraio-3 marzo; 20-22 aprile; 16 agosto-17 ottobre

1982: 19-23 febbraio; 12-14 aprile; 14 luglio-22 settembre

1983: 2-4 gennaio; 14-15 febbraio; 10-12 marzo; 4-5 aprile; 10 luglio-10 settembre; 13-21 settembre; 28-31 dicembre

1984: 23-24 aprile; 13-15 maggio; 11 luglio-9 settembre; 21-26 settembre; 26-29 dicembre

1985: 7 luglio-8 agosto; 20 agosto-25 settembre

1986: 1-4 gennaio; 30 marzo-1 aprile; 8 luglio-20 settembre; 26-30 dicembre

1987: 15 luglio-10 settembre; 21-25 settembre; 26-29 dicembre

1988: 4-8 aprile; 22 luglio-10 settembre; 19-24 settembre; 26-30 dicembre

1989: 26-28 marzo; 21 luglio-18 agosto; 21 agosto-22 settembre; 24-27 settembre; 27-30 dicembre

1990: 15-17 aprile; 20 luglio-1 settembre; 11-26 settembre; 26-29 dicembre

1991: 1-2 aprile; 19 luglio-13 agosto; 20 agosto-21 settembre; 26-28 dicembre

1992: 20-21 aprile; 28 luglio-17 agosto; 2-26 settembre; 27-30 dicembre

1993: 12-13 aprile; 16 luglio-9 agosto; 16 agosto-4 settembre; 10-28 settembre; 26-28 dicembre

1994: 3-5 aprile; 7 luglio-17 agosto; 27 agosto-1 ottobre; 26-31 dicembre

1995: 16-22 aprile; 22 luglio-14 settembre; 20-30 settembre; 27-30 dicembre

1996: 8-12 aprile; 23 luglio-19 settembre; 22 settembre-1 ottobre; 26-31 dicembre

1997: 31 marzo-4 aprile; 19 luglio-21 agosto; 24 agosto-27 settembre; 26-30 dicembre

1998: 13-17 aprile; 21 luglio-18 settembre; 20-28 settembre; 26-30 dicembre

1999: 5-10 aprile; 20 luglio-29 settembre

2000: 24-28 aprile; 22 luglio-1 settembre

2001: 16-21 aprile; 20 luglio-22 settembre; 27-29 settembre

2002: 8-23 luglio; 2-16 agosto; 19 agosto-30 settembre

2003: 10 luglio-11 settembre; 14-25 settembre

2004: 17 luglio-29 settembre

BENEDETTO XVI (2005 – )

2005: 5 maggio; 28 luglio-18 agosto; 21 agosto-28 settembre

2006: 16 aprile-21 aprile; 28 luglio-9 settembre; 14 settembre-4 ottobre


2007: 8 aprile-13 aprile; 14 maggio-18 maggio; 27 luglio-1 settembre; 2 settembre -7 settembre; 9 settembre -3 ottobre.

2008: 23 marzo-30 marzo; 2 luglio-12 luglio; 21 luglio-28 luglio; 11 agosto-12 settembre; 15 settembre-30 settembre.



Tacitus in the Agricola chapter 45 the appointment as follows: a adhuc victoria Carus Metius censebatur, et intra villam Albanum sententia Messalini strepebat, et Massa Baebius jam tum erat reus.

https://www.romanoimpero.com/2010/11/castel-gandolfo-lazio.html

"Going up in Castel Gandolfo, Albano and heading for the Villa Barberini mentioned above, one sees there the magnificent remains of the villa of Domitian, which give an idea of its former greatness. That Domitian had a territory in Albano villa, called Albanum Domitiani, is something very known to anyone who has read contemporary ancient authores that Augusto.

More clearly still speaks Juvenal in Satire IV which describes the Council rllied by Domitian in the same villa Albana to decide the manner in which were to cook the turbot caught near Ancona, and especially deserve to be reported those lines (144 and seq.)

Surgitur et misso proceres exire jubentur

Council, quos Albanam Dux magnus in arcem

Traxerat attonitos et festinare coactos,

tamquam de Cattis aliquid, torvisque Sicambris

Dicturus etc.

Even the Martial mentions, and particularly in the dedication of his book V: Epigrammi of Domitian:

Hoc tibi Palladiae, seu Collibus uteris Albae

Caesar, et hinc Triviam prospicis inde Thetin etc.

And Statius (Sylvar. Lib 3 Par.1 v. 61, et seq.) Speaking of water, which the villa of Domitian in the territory of Alba received, sang as follow: Ast ego Dardaniae quamvis sub Collibus Albae Rus proprium, magnique Ducis mihi munere currens, unda domes, curas mulcere, aestusque upbeat sufficerent etc.

And Statius (Sylvar. Lib 3 Par.1 v. 61, et seq.) Speaking of water, which the villa of Domitian in the territory of Alba received, sang as follow: Ast ego Dardaniae quamvis sub Collibus Albae Rus proprium, magnique Ducis mihi munere currens, unda domes, curas mulcere, aestusque upbeat sufficerent etc.

These contemporary authors to Domitian himself, and among which the two last lived at his own court, they must add Suetonius and Cassius Dio, who not long afterwards flourished. The first in the fourth chapter of the life of the emperor himself sayss: "Celebrabat et in Albano quotannis quiquatria Minervae, which Collegium instituerat.

And Chapter 19:

Centenas various generis feras soepe in Albano secessa spectavere plerique, atque etiam ex ita quarundam industry happen figentem ut duobus ictibus almost comun effegeret.

Dione later in his life says: "He was supremely transported to the goddess Minerva, and therfore celebrated with great pomp the Panathenaea parties, and gave into them every year, so to speak, fighting the Poets and the speakers in Albano. Imperciocchè this villa standing beneath Mount Albano, from which therefore had received the name he had chosen as a citadel.

This passage of Dion can serve as a commentary on the verso of Juvenal he reported earlier, in which the poet called this vialla Albanam arcem

Dione later in his life says: "He was supremely transported to the goddess Minerva, and therfore celebrated with great pomp the Panathenaea parties, and gave into them every year, so to speak, fighting the Poets and the speakers in Albano. Imperciocchè this villa standing beneath Mount Albano, from which therefore had received the name he had chosen as a citadel.

This passage of Dion can serve as a commentary on the verso of Juvenal he reported earlier, in which the poet called this vialla Albanam arcem

Roberto Lanciani

"The port call of Grapigliano seems to match that time said "pozzolana" under the hill Fratto Bridge, the ancient Vicus Alexandri, around which places see Bull. Com. 1891, p. 217 sq. it served yet boarding of the marbles from the Alban villa of Domitian at Castel Gandolfo.

Thjere was a ferry (passatura ultra flumen Tiber erga dictum portum Grapigliani. The LXX document dated November 30 1325 contains the news of a third port, as well as those of Tor di Nona and Grapigliano already noticed.

It is the port of Ripetta, called the port of Agosta,  -Portus Aguste Urbis- There was a space for the loading and unloading of merchandise, and hold him up a officio, where the town and his room they issued the export policies to foreign marble workers, who came to Rome to "spy" their prey, as a preliminary practices with clients and with proprietary (Cf. doc CLXXIV of February 13, 1350 "Castrutio when IVIT to spiorandum Romam pro marble."

Cryotiporticus Villa


Therefore foreword the existence of a villa of Domitian in this place and a sumptuous villa consequently, we look almost like they were the limits. It is seen that the existing ruins


Villa di Domiziano (Castel Gandolfo)

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Villa albana di Domiziano

Albanum Domitiani

Albert Hertel - In den Gärten von Castel Gandolfo.jpg

Albert Herter (Berlino 1843-1912), In den Gärten von Castel Gandolfo, data esatta sconosciuta (anni Settanta dell'Ottocento).

Civiltà     Romana

Utilizzo     residenza imperiale suburbana

Localizzazione

Stato     Stato della Città del Vaticano, Italia

Amministrazione

Patrimonio     Stato della Città del Vaticano, Castel Gandolfo, Albano Laziale

Visitabile     a richiesta

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La villa albana di Domiziano, conosciuta in latino come Albanum Domitiani o Albanum Caesari, è stata una villa romana fatta costruire dall'imperatore Tito Flavio Domiziano (81-96) venti chilometri fuori Roma, sui Colli Albani, nell'antico ager albanus (toponimo direttamente legato alla mitica metropoli latina di Alba Longa).


Oggi i resti della villa si trovano in gran parte all'interno della zona extraterritoriale delle Ville Pontificie di Castel Gandolfo, e per il resto nei territori comunali di Castel Gandolfo ed Albano Laziale, in provincia di Roma.


Indice

1     Storia

1.1     Le preesistenze

1.2     Gli interventi di Domiziano

1.3     L'abbandono

1.4     Il recupero

2     Descrizione

2.1     Il palazzo

2.2     Il secondo ripiano

2.2.1     La terrazza sul lago

2.2.2     Il viale dei ninfei

2.2.3     Il criptoportico

2.3     Il teatro

2.4     L'ippodromo

2.5     Approvvigionamento idrico

2.5.1     Gli acquedotti

2.5.2     Le cisterne

2.6     La rete stradale

2.7     I resti sulla riva del lago

2.7.1     Le banchine

2.7.2     I ninfei

2.7.2.1     Il ninfeo dorico

2.7.2.2     Il ninfeo del Bergantino

2.7.3     L'emissario

2.8     La Rotonda

2.9     La guarnigione

3     Note

4     Bibliografia

5     Voci correlate

6     Altri progetti

7     Collegamenti esterni

Storia

Magnifying glass icon mgx2.svg     Lo stesso argomento in dettaglio: Storia di Castel Gandolfo e Storia di Albano.

Le preesistenze


Monte Cavo ed Albano Laziale sovrastata dal Colle dei Cappuccini.

Comunemente si ritiene di stabilire intorno all'antichissimo cratere vulcanico riempito dal lago Albano il sito della leggendaria capitale della Lega Latina, Alba Longa, che sarebbe stata fondata dal figlio di Enea, Ascanio. Non c'è tuttavia accordo tra gli studiosi riguardo l'esatta collocazione dell'antica città, di cui sembrano non restare tracce archeologiche. Pino Chiarucci ritiene di collocarla sul versante meridionale, tra il Colle dei Cappuccini e Palazzolo;[1] Antonio Nibby e Girolamo Torquati ritennero di collocarla sul versante nord-orientale, tra Costa Caselle e Pozzo Carpino;[2][3] Giuseppe Lugli pensò al sito dell'attuale centro storico di Castel Gandolfo.[4] Attualmente, la prima ipotesi sembrerebbe la più condivisa, ma l'indirizzo degli archeologi in mancanza di prove certe è continuamente mutevole.


Di certo la memoria di questa città, mitica madre di Roma, ha segnato per sempre la toponomastica dei luoghi: l'attuale Monte Cavo era chiamato dagli antichi mons Albanus (probabilmente vi si venerava Giove Laziale), l'attuale lago Albano conserva tradotta la sua denominazione antica di lacus Albanus, l'intera regione era chiamata ager Albanus. Il nome è stato poi trasmesso all'odierna cittadina di Albano Laziale, nata dopo il III secolo intorno alle strutture dei Castra Albana.


Alba Longa fu rasa al suolo nel VI secolo a.C., ed il Latium vetus annesso al dominio romano. Con la progressiva espansione romana, i Colli Albani divennero sede di numerose ville patrizie suburbane. Sono stati rinvenuti in particolare i resti di due grandi ville sulla via Appia Antica, attribuite una a Publio Clodio Pulcro[5] e l'altra a Gneo Pompeo Magno;[6] oltre a queste, si sono trovate varie ville di età repubblicana sparse sulle rive del lago e non solo. Sappiamo da fonti documentarie che avevano proprietà nell'ager Albanus svariati personaggi.[7] Tutte queste proprietà caddero, in un modo o nell'altro, in proprietà del demanio pubblico: all'epoca di Ottaviano Augusto la straordinaria concentrazione di ville divenute di proprietà imperiale diede vita all'Albanum Caesari, una sconfinata tenuta imperiale.[8]


La prima villa imperiale fu abitata certamente da Tiberio, Caligola e Nerone.[9]


Gli interventi di Domiziano


Resti della villa di Pompeo dentro Villa Doria ad Albano.

Probabilmente i primi imperatori si adattarono ad abitare nelle ville più sfarzose tra quelle preesistenti, ossia quella di Clodio in località Ercolano (oggi nel giardino della villa del Pontificio Collegio Nordamericano) e quella di Pompeo ad Albano (oggi inclusa nel parco pubblico comunale di Villa Doria).[8]


Fu Domiziano che decise di costruire un nuovo corpo residenziale alla villa, in posizione più panoramica sia verso il mare che verso il lago, e dotato di nuova fastose strutture come l'ippodromo ed il teatro. Probabilmente il progetto fu affidato a Rabirio, già architetto del Palazzo di Domiziano sul Palatino.[10] La parte idraulica invece pare sia stata curata dal procuratore delle acque Alypus, che evidentemente doveva essere abile, dato che rimase in carica anche sotto Traiano.[10]


In questa fase, la villa arrivò ad occupare anche sei chilometri quadrati, secondo i calcoli di Giuseppe Lugli.[11]


Alla morte di Domiziano, che vi si stabilì in pianta stabile, la villa venne raramente o per nulla utilizzata dai suoi successori imperiali. Alcuni interventi sono databili al II secolo, ed in particolare ad epoca traianea ed adrianea (il Nibby riferisce di aver visto bolli datati al 134):[12] perciò non è improbabile che l'imperatore Adriano vi soggiornò in attesa del completamento di Villa Adriana a Tivoli, mentre Marco Aurelio vi dimorò pochi giorni usando la villa come rifugio durante i disordini avvenuti nel 175.


L'abbandono


La facciata del Duomo di Orvieto, per la cui costruzione furono impiegati anche marmi provenienti dalla villa albana di Domiziano.[13] Tra Duecento e Trecento il potente libero comune guelfo di Orvieto ospitò varie volte i papi.

L'imperatore africano Settimio Severo dopo il 197 fece stabilire ai margini della proprietà imperiale i suoi fedelissimi veterani della Legio II Parthica, edificando le grandiosi strutture dei Castra Albana. In concomitanza tuttavia iniziò il declino della villa, accentuato dalla scomparsa di un potere imperiale forte.


I legionari partici e le loro famiglie stabilite intorno all'accampamento iniziarono a depredare le strutture della villa per utilizzarne il materiale per nuove costruzioni, dando così vita al nucleo abitato che avrebbe poi dato vita ad Albano Laziale. Un secondo centro abitato si andò sviluppando ai margini settentrionali della proprietà imperiale: in età medioevale fu chiamato Cuccurutus e diede vita all'abitato Castel Gandolfo.


Nel Liber Pontificalis è contenuta una donazione fatta sotto il pontificato di Silvestro I (314-335) dall'imperatore Costantino I alla basilica cattedrale di San Giovanni Battista (identificata con la cattedrale di Albano, ora intitolata a san Pancrazio martire):[14] nella donazione praticamente tutta la proprietà imperiale, e gran parte delle località vicine, vennero donate alla nascente Chiesa albanense.


Non sappiamo se questa donazione sia stata reale o meno, forse la proprietà imperiale entrò a far parte di qualche patrimonium o domusculta, nuclei rurali di produzione tipici del Lazio altomedioevale: ma di certo la villa imperiale dell'Albanum cadde in abbandono. La villa divenne cava di marmi e materiali da costruzione, sorte analoga a quella di altri edifici antichi: sappiamo per certo che i suoi marmi nel XIV secolo furono utilizzati per costruire e rivestire il Duomo di Orvieto.[13]


L'uso dei marmi della villa per la costruzione della cattedrale orvietana è stato studiato da Luigi Fumi in una pubblicazione del 1891: "Il duomo di Orvieto e i suoi restauri".[15] In pratica gli allora feudatari del luogo, i Savelli, nel 1321 diedero l'autorizzazione a smantellare le strutture della villa:[15] i lavori di distruzione durarono 36 giorni. I marmi raccolti furono imbarcati allo scalo di ponte Fratto sulla via Ostiense, alla confluenza tra le Acque Salvie ed il fiume Tevere,[15] e portati via fiume fino ad Orvieto. Dagli atti dell'epoca si delinea un vero e proprio business dietro lo smantellamento di questi monumenti: Rodolfo Lanciani trasse spunto da questi attenti studi del Fumi per ricavarne un exemplum sul riutilizzo dell'immenso materiale marmoreo e lapideo dei monumenti antichi di Roma e dei suoi dintorni.[15]


Intorno al X secolo un antico ninfeo della villa, inglobato in epoca severiana nel complesso dei Castra Albana e riadattato ad impianto termale, fu consacrato ad uso religioso: nacque il santuario di Santa Maria della Rotonda, oggi venerato luogo di culto di Albano, ospitato nel singolare edificio di età domizianea noto come "la Rotonda".[16]


Il recupero

Giuseppe Lugli

Giuseppe Lugli (1890-1967) è stato un eminente archeologo italiano del Novecento. Si laureò nel 1913 con una tesi sulla villa albana di Domiziano:[17] in seguito arricchì, corresse e completò i suoi studi in merito fino al 1922, pubblicando quattro volumi presso l'editore Loescher.


Le sue pubblicazioni in argomento ed i suoi rilievi topografici (disciplina di cui fu docente presso l'Università di Roma La Sapienza dal 1933 al 1960)[17] sono ancora oggi la principale fonte di documentazione sulla villa di Domiziano.


Nel 1919, tra l'altro, effettuò la prima ricognizione archeologica dall'alto a bordo del dirigibile "Roma" della Regia Aeronautica, accompagnato dal direttore della Scuola Britannica di Roma Thomas Ashby.[17]


I resti della villa di Domiziano divennero pittoreschi inserti di ville patrizie suburbane a partire dalla fine del Cinquecento. Nel 1619 sull'area del palazzo domizianeo fu edificata la chiesa di Santa Maria Assunta con il convento dei Frati Minori Riformati, oggi Collegio estivo di Propaganda Fide.[18] Papa Urbano VIII (1623-1644), al secolo Maffeo Barberini, fu il primo pontefice a villeggiare a Castel Gandolfo, committente del Palazzo Pontificio:[19] suo nipote Taddeo Barberini nel 1631 acquistò la villa appartenuta a monsignor Scipione Visconti,[20] che conteneva le rimanenze più notevoli della villa domizianea, costituendo l'attuale Villa Barberini.


Gli scorci più vistosi dei ruderi invasi dalla vegetazione, come il criptoportico o il ninfeo del Bergantino, furono descritti da eruditi e diaristi dal Quattrocento in poi e riprodotti in incisioni e dipinti.


Nel 1929 i Patti Lateranensi riconobbero i 55 ettari delle Ville Pontificie di Castel Gandolfo tra le zone extraterritoriali della Santa Sede in Italia: gran parte dei ruderi della villa diventarono parte dello Stato della Città del Vaticano, grazie alla cessione alla Santa Sede di Villa Barberini, storicamente legata al complesso pontificio, ma fino ad allora ad esso estranea.[21] La zona extraterritoriale fu ratificata ed ampliata nel 1948 dalla nuova Italia repubblicana.[22]


Le Ville Pontificie furono sottoposte ad una radicale risistemazione per volere di papa Pio XI.[23] Anche le rimanenze archeologiche, come il criptoportico ed il viale dei ninfei, furono ripulite ed integrate nel nuovo insieme.


Durante la seconda guerra mondiale, dopo lo sbarco ad Anzio il 22 gennaio 1944, l'area delle Ville fu ricovero di sfollati e fuggiaschi dai paesi vicini bombardati e cannoneggiati, per via della sua extraterritorialità nella neutralità del Vaticano: si calcola che in cinque mesi circa 12.000 persone trovarono rifugio nelle Ville, grazie alla generosità dell'allora direttore Emilio Bonomelli.[24]


Tuttavia il Collegio estivo di Propaganda Fide, esattamente nell'area dell'antico palazzo domizianeo, fu oggetto di un bombardamento aereo anglo-americano il 10 febbraio 1944, noto come bombardamento di Propaganda Fide: esso causò 500 vittime (secondo i bilanci ufficiali), tutti civili inermi.[25] Oggi, l'Associazione Famigliari Vittime di "Propaganda Fide" sta cercando di riconoscere la qualifica di crimine di guerra per quell'azione.[26]


Nel 1970 è stato allestito un antiquarium all'interno di Villa Barberini,[27] raccogliendo i reperti già sparsi per la villa dal gusto degli antichi proprietari.


Descrizione


Panorama del cratere del lago Albano da Monte Cavo (949 m s.l.m.): la villa di Domiziano si trovava esattamente al centro del crinale occidentale, tra l'odierno abitato di Castel Gandolfo (a destra) ed il Colle dei Cappuccini (a sinistra). Il colpo d'occhio doveva essere imponente, quasi che il palazzo domizianeo fosse una rocca.[28]

La villa sorgeva sul crinale dell'antico cratere vulcanico riempito dal lago Albano tra 100.000 e 5000 anni fa, durante la cosiddetta fase idromagmatica del collasso del Vulcano Laziale, il più antico ed immenso cratere vulcanico il cui relitto oggi sono i Colli Albani.[29]


Per questo, data l'asperità del suolo, la villa fu articolata su tre livelli, costruiti su altrettanti terrazzamenti. La struttura a terrazze non è rara per le ville romane in collina: se ne ha un esempio non molto lontano dalla villa qui descritta a Frascati, nella villa cosiddetta di Lucullo, appartenuta poi alla gens Flavia. Questa villa fu costruita a terrazze sul pendio del Tuscolo rivolto verso Roma: il terrazzo più vasto oggi ospita praticamente tutto il centro storico di Frascati.[30]


I terrazzamenti della villa di Domiziano sono stretti e lunghi circa 500 metri. Il Lugli li numera a partire dal basso, mentre il Rosa parte dall'alto e riconosce anche un quarto livello al piano della via Appia.[30] Il palazzo propriamente detto sorgeva sulla terza terrazza (la prima nella numerazione del Rosa), esattamente nell'area della chiesa di San Francesco d'Assisi e dell'attiguo edificio di Propaganda Fide. A nord di esso c'era la seconda terrazza, che aveva vista panoramica sia sul lago (ad est) che sul mare (ad ovest). Infine, vi era una terrazza più bassa (la prima per il Lugli, la terza per il Rosa) in cui si trovavano l'ippodromo e gli ingressi alla villa.[30] Ci sono poi strutture isolate a vario titolo collegate con la villa domizianea: i ninfei e le banchine sulla riva del lago, la terrazza a mezza costa, le cisterne ed i tre acquedotti provenienti da Palazzolo, la rete stradale d'accesso, il ninfeo della Rotonda nel centro di Albano riadattato a chiesa cattolica, e si è ritenuto fino all'inizio del Novecento che anche l'anfiteatro romano di Albano fosse collegato alla villa.


Oggi non è possibile calcolare con esattezza l'estensione delle proprietà imperiali in questa zona: di certo includevano gran parte degli odierni territori comunali di Castel Gandolfo ed Albano Laziale. Molto probabilmente si estendevano a nord almeno fino a Bovillae (XIII miglio dell'Appia Antica), a sud fino ad Aricia (XVI miglio),[11] mentre non è chiaro dove terminassero ad occidente, verso il mar Tirreno. Lì dovevano inglobare le proprietà della villa attribuita a Pompeo, i resti della cui zona residenziale sono oggi inclusi all'interno di villa Doria ad Albano.


Altri resti di una villa di età tiberiana, ma abitata fino al V secolo,[31] sono stati rinvenuti verso sud-ovest in località Cavallacci, presso la costruenda Tangenziale di Albano, il che farebbe pensare che lì le proprietà imperiali avessero un freno. Ad oriente, invece, probabilmente i possedimenti imperiali includevano l'intero lago Albano con le tante ville costruite in età repubblicana sul cratere (quella cosiddetta di Augusto a Palazzolo, quella attribuita a Seneca non molto lontano, ed altre tra Marino e Castel Gandolfo). Non è da escludere che anche il lago di Nemi fosse parte dell'Albanum Caesari: in quanto Gaio Giulio Cesare si fece costruire una villa nella zona, identificata o in alcuni resti tra Monte Gentile e Fontan Tempesta o dall'altra parte del lago (versante sud-ovest) presso il cimitero di Genzano di Roma, e l'imperatore Caligola fu il costruttore delle celebri Navi romane di Nemi, probabilmente un palazzo e un tempio galleggianti.


Ad ogni modo, è opinione del Lugli che neppure sotto Domiziano le varie ville che costituivano il fondo imperiale fossero state riunite materialmente in un'unica sola proprietà.[11]


Il palazzo


Statua di Traiano. Marmo bianco con patina giallastra, altezza totale 200 cm (la parte antica cm 150). Acquistata dal Ny Carlsberg Glyptotek di Copenaghen nel 1897 (inv. 1584). Si potrebbe ipotizzare la provenienza dai dintorni di Castel Gandolfo e quindi dalla Villa imperiale di Domiziano.[32]

L'edificio doveva essere a tre piani, come fanno supporre i resti (due rampanti ed un sottoscala) di una scala tra secondo e terzo piano visti dal Lugli.[33] Tutte le murature sono realizzate in opera laterizia rinforzata ogni 80 centrimetri da uno strato di bipedali: non risulta che sia stato impiegata opera reticolata in tutta la costruzione del palazzo.[34]


La ricostruzione più completa della pianta dell'edificio è stata fatta da Pietro Rosa, che tuttavia ha dovuto ampiamente compensare di fantasia pur restando sostanzialmente fedele agli scarsi resti, in gran parte interrati.[33] Il palazzo si articolava intorno a tre cortili, chiamati "atrii" dal Rosa: questa caratteristica ha permesso al Lugli di riconoscere l'analogia di questo palazzo domizianeo suburbano con il complesso rappresentato dal palazzo di Domiziano sul Palatino, a Roma.[35]


Il palazzo urbano dell'imperatore è costituito da due edifici, entrambi costruiti sotto l'impero di Domiziano: una sede di rappresentanza, la Domus Flavia, e la residenza privata, la Domus Augustana.[36] La pianta di questo complesso si articola in modo analogo alla villa suburbana, anche se molto più in grande. Anche in questo caso infatti tutto ruota su tre ambienti aperti: triclinium, peristilio e tablinium. Intorno a questi spazi aperti (che sarebbero gli "atrii" di cui parlava il Rosa) si dovevano trovare tutti i locali che dovevano servire alla corte imperiale nei lunghi periodi di permanenza nell'ager albanus: il larario, una sala del trono (si pensi alla magnificenza dell'Aula Regia palatina), un auditorium (la sala del consiglio imperiale), la basilica o consistorium, le terme.[37]


L'unica zona della villa che ad oggi si è potuta identificare sono state le terme, riconosciute grazie all'abbondanza di condutture di terracotta e fistole acquarie.[38] La zona termale è situata a destra dell'atrio centrale, probabilmente l'antico peristilio.[37]


Il secondo ripiano

La terrazza sul lago


Due delle moderne villette ottocentesche affacciate sul lago, schierate lungo la galleria di Sopra.

A mezza costa sul lago, ad un centinaio di metri in linea d'aria dal palazzo, all'interno di uno dei villini ottocenteschi della galleria di Sopra si trovano i resti di una terrazza panoramica sul lago. La pianta non è rintracciabile:[39] restano solo due muraglioni di sostruzione distanziati l'uno dall'altro di 15 metri. Il fatto che queste strutture siano in opera reticolata oggi fa pensare che si tratti di preesistenze alla villa domizianea, risalenti alla tarda età repubblicana, inglobate nella struttura della villa.[40] Probabilmente tra i due muri passava una strada che scendeva alla riva del lago.[39] Più in basso, il Lugli notò che il dirupo che scende al lago era stato scavato in forma di cinque gradini, secondo lui forse per farvi passare un viottolo che gira intorno al lago da sud, accompagnando il tracciato degli acquedotti antichi fino a Palazzolo.[39]


Alla terrazza sul lago si accede attraverso un vero e proprio traforo scavato nella viva roccia di peperino, un'opera ciclopica il cui unico scopo era evitare all'imperatore di scalare il lieve pendio della collina per poter vedere il lago sottostante.[41] Nel 1910 il traforo fu liberato dalla terra che l'aveva riempito nel corso dei secoli, ma poiché terminava fuori dalle proprietà pontificie fu richiuso in corrispondenza del muro di cinta della soprastante villa Barberini. Oggi è impraticabile.[40]


Il cunicolo è lungo un centinaio di metri e presenta un solo lucernario, verso la metà. L'altezza all'imbocco, dalla parte di villa Barberini, è di 2.40 metri.[39] Lo sbocco dalla parte del lago, interrato, fu rintracciato dal Lugli nel muraglione di sostruzione della terrazza, che è interrotto da un grosso arco in opera laterizia largo 3.75 metri.[39]


Il viale dei ninfei

Il palazzo è collegato al teatro da un lungo viale[40] in direzione nord-sud, chiamato "dei ninfei" per via di quattro nicchie che si aprono sulla sua destra, verso il lago, identificate dagli archeologi come ninfei.


I quattro ninfei alternano la pianta rettangolare alla pianta semicircoidale, e differiscono solo per dimensioni.[42] Il primo da sud è profondo 6.20 metri e largo 8.90, e presenta tredici nicchie ricavate nelle pareti; il secondo ed il quarto, semicircoidali, sono profondi 2.60 metri e larghi 6.85 metri ed hanno sette nicchie; il terzo, rettangolare, è profondo 5.50 metri e largo 7.40, con tredici nicchie come il primo.[42]


In alcuni tratti conservano il rivestimento in opera reticolata, l'intonaco (spesso 3 centrimetri) ed addirittura, almeno all'epoca del Lugli, tracce di colore.[42] Le volte sono in gran parte cadute. I ninfei dovevano probabilmente accogliere sculture saccheggiate nel corso dei secoli.[42]


Il criptoportico


I resti del criptoportico nel Giardino della Villa Barberini

Il criptoportico che sosteneva il secondo ripiano oggi è amputato alla lunghezza di 120 metri,[43][44] ma in origine correva in direzione nord-sud (parallelo dunque al viale dei ninfei, ma ad un livello inferiore) per tutta la lunghezza del ripiano fin sotto al piazzale del teatro.[44] L'ambiente è largo 7.45 metri,[43] coperto da una volta a sacco rinforzata con anelli in opera laterizia.[44] La volta era rivestita con lacunari in stucco, di cui rimane qualche traccia.[44][45] Il lato verso est è ricavato in parte dalla roccia stessa, mentre quello verso ovest è scansionato da finestroni che servono a dare luce all'ambiente: il Lugli nota con ammirazione come, per simmetria, ad ogni finestrone corrisponda una nicchia sull'altro lato.[44] Il pavimento antico era circa un metro e mezzo più basso del piano di calpestìo attuale.[44]


Pare appurato che verso questo criptoportico convergessero i diverticoli di accesso alla villa provenienti dalla via Appia,[44] e che perciò questo ambiente fosse una sorta di lunga via tecta.[43] All'estremità nord del criptoportico è stata collocata la statua di Polifemo rinvenuta nel ninfeo del Bergantino sulla riva del lago.[43]


Il teatro

Magnifying glass icon mgx2.svg     Lo stesso argomento in dettaglio: Teatro romano.

Il teatro è una delle rimanenze più notevoli della villa, soprattutto per gli straordinari riquadri a rilievo del corridoio della cavea. La cavea venne addossata al crinale del colle, mentre l'orchestra e la scena erano al piano della seconda terrazza. Fu costruito secondo tutti i criteri dell'acustica dell'epoca, rivolto a ponente per evitare le interferenze dei turbolenti venti di tramontana e di scirocco.[46]


Il raggio dell'orchestra fino al primo sedile era di 5.90 metri, esattamente 20 piedi romani: perciò Lugli poté calcolare che l'orchestra misurasse completamente 50 piedi, ossia 11.80 metri.[46] La cavea, dal primo sedile all'ultimo, è larga 12.45 metri. Il raggio totale del semicerchio del teatro era così di 25 metri.[46]


Il primo scavo del teatro venne eseguito nel 1657 da Leonardo Agostini per ordine del cardinale Barberini.[46] Giuseppe Lugli iniziò a studiare il teatro nel 1914, e poi aggiornò i suoi studi nel 1918 dopo che i lavori di sistemazione di villa Barberini riportarono in luce altri ruderi:[46] in particolare un'altra parte di corridoio della cavea con altri riquadri di stucco fu scoperta nel 1917, mentre si stavano realizzando le tubature dell'acqua sulla galleria di Sopra.[46] Il Lugli poté vedere in piedi un tratto del corridoio semicircolare della cavea ed alcuni gradini in situ: questi ultimi sono andati riducendosi, dai 22 riportati in luce nel 1657, agli 11 visti nel 1886 da Rodolfo Lanciani, fino ai 9 descritti nel 1918 dal Lugli.[46]


Il teatro castellano è notevole per la presenza di decorazioni in stucco in prospettiva, analoga alla pittura del quarto stile.[43] Si tratta di un fregio composto da tredici riquadri raffiguranti temi collegati al teatro.[46] Questi riguadri, ampiamente descritti e fotografati dal Lugli,[47] sono una delle più importanti testimonianze dell'ultima età flavia, al pari delle pitture di Pompei ed Ercolano.[43]


Presso il teatro si trovano alcune stanze databili ad epoca adrianea, probabilmente di pertinenza dello stesso, che testimoniano la continuità nell'uso della struttura almeno fino al completamento di Villa Adriana a Tivoli.


L'ippodromo


Panoramica dell'area in cui si trovava il primo ripiano da villa Doria ad Albano Laziale: in fondo a sinistra la cupola berniniana della collegiata di San Tommaso ed il Palazzo Pontificio di Castel Gandolfo, più a destra villa Barberini. Sotto, nell'area in declivio occupata da olivi, sono stati identificati i resti riferibili all'ippodromo.

L'ippodromo, o circo, è in realtà una vasto ambiente delimitato da muri in opera laterizia largo 75 metri[48] e rivolto in direzione nord-sud. Non è stato possibile appurarne la lunghezza perché non si è trovato il muro a sud, dove dovrebbero trovarsi i carceres, ossia i "box" di partenza dei cavalli. Il muro a nord infatti forma un semicerchio, ed era perciò la curva del circo: al centro di questo semicerchio in età successiva era stata riadattata una fontana, lunga 7.10 metri e larga 2.30, decorata con stucchi.[48]


La destinazione di quest'area a circo è resa probabile dal racconto delle fonti dell'epoca riguardo alle partite di caccia ed i truculenti giochi a cui amava assistere Domiziano, e del resto un ippodromo era presente anche nel suo palazzo sul Palatino. Tuttavia gli archeologi pensano che l'area sia accomunabile ai giardini tanto diffusi nelle ville romane del II secolo:[43][48] e forse, dopo Domiziano, fu riconvertita a questo scopo più pacifico.


Probabilmente c'era una terrazza a sovrastare l'ippodromo,[48] con accesso al piano del palazzo per dare modo all'imperatore ed alla sua corte di assistere comodamente allo spettacolo, analogamente a quanto realizzato nella Domus Augustana sul Palatino. Sotto le sostruzioni dell'ippodromo si trova una cisterna lunga 41 metri, inclinata di 140° rispetto all'asse dell'ippodromo.[49]


Non lontano dalle strutture riconosciute come l'ippodromo si è pensato sorgessero le scuderie. Difatti si sono trovati una serie di ambienti uguali della larghezza di 4.20 metri e lunghi 2.95 metri, addossati al muro di sostruzione del secondo ripiano, sotto al criptoportico.[50] Oltre alla funzione strutturale di contrafforti, si pensa che questi locali fossero stalle e scuderie per i cavalli e gli animali che Domiziano amava far massacrare nei ludi circensi.[50]


Approvvigionamento idrico

Gli acquedotti


Panoramica del lago di Nemi (a sinistra) e del lago Albano (a destra) dalla cima di Monte Cavo (949 m s.l.m.). In questa zona, ricca di sorgenti, partono tutti gli acquedotti di servizio alle strutture dell'ager albanus. A destra, verso il lago Albano ci sono Malafitto e Palazzolo (fuori veduta); a sinistra, verso il lago di Nemi, Fontan Tempesta. Al centro, più in lontananza, Monte Gentile.

Al complesso della villa di Domiziano sono collegati quattro acquedotti, tutti provenienti da sud-est, dalle sorgenti situate tra le località di Palazzolo e Malafitto, ai confini tra gli attuali comuni di Rocca di Papa, Ariccia, Nemi ed Albano Laziale. In molti tratti, gli acquedotti antichi continuano ad essere percorsi da quelli moderni o sono stati in funzione fino a pochi decenni fa.


Il più antico di essi è l'acquedotto "delle Cento Bocche". Viene così chiamato perché raccoglie acqua da sorgenti sparse su un'area di circa 150 metri tra le località di Palazzolo e Malafitto:[51] in seguito inizia il suo tracciato coperto in un cunicolo largo 60 centrimetri ed alto 1.65 metri[51] che corre lungo il crinale del lago fino al Colle dei Cappuccini, che attraversa con un notevole traforo lungo circa 500 metri, scavato con solo tre lucernari per l'aria e la rimozione del materiale di scavo.[51] L'opera fu talmente impegnativa che i costruttori sbagliarono a calcolare la pendenza, ottenendo un tratto di circa cento metri in contropendenza, a cui dovettero rimediare sopraelevando il piano dell'acquedotto con dei mattoni.[51] Le tracce dell'acquedotto si perdono al culmine del centro storico di Albano, circa tre metri sotto il suolo di piazza San Paolo.[51]


Tuttavia è molto probabile che questo acquedotto servisse originariamente la villa di Pompeo,[51] oggi inglobata nel parco pubblico di villa Doria, inglobata in età augustea nell'Albanum Caesari e quindi nella tenuta domizianea. In età severiana deve aver servito anche i Castra Albana (i grandi "Cisternoni", le thermae parve attigue alla Rotonda e le Terme di Caracalla).[51]


Dalle sorgenti di Malafitto partono due acquedotti, chiamati per distinzione "di Malafitto alto" e "di Malafitto basso" a seconda della quota a cui corrono.


L'acquedotto di Malafitto alto è l'unico tra i quattro sicuramente riferibile ad epoca domizianea.[52] L'acquedotto doveva servire il complesso del palazzo della villa, e perciò mantenere una quota piuttosto elevata, necessità che costrinse i costruttori ad un tracciato piuttosto tortuoso attraverso i boschi della Selvotta.[52] Infine l'acquedotto passava sotto il Colle dei Cappuccini e correva per un tratto parallelo agli altri due delle Cento Bocche e di Malafitto basso. Nel 1904 fu individuato l'ultimo tratto dell'acquedotto presso il cimitero di Albano, circa 2.50 metri sotto il piano di calpestìo odierno:[52] da lì il cunicolo andava a gettarsi nella grande cisterna della villa conservata sotto la sede di Propaganda Fide.


I tratti non scavati nella viva roccia sono realizzati in opera reticolata, le riprese della volta in pietrisco.[52] Il condotto è largo circa 60 centimetri ed alto circa 1.60 metri.[52] Lungo il tracciato sono stati trovati 53 pozzi circolari, di cui il più profondo tocca i 53 metri.[52]


L'acquedotto di Malafitto basso presenta tecniche costruttive e dimensioni analoghe a quelle di Malafitto alto, ma si denota una maggiore superficialità nell'opera reticolata ed una diversa dimensione del canale centrale di scorrimento delle acque.[53] Perciò bisogna supporre che si tratti di una realizzazione di epoca immediatamente successiva a quella flavia, presumibilmente traianea o adrianea.[53]


Il suo tracciato corre quasi parallelo a quello delle Cento Bocche fino al Colle dei Cappuccini, ed a Malafitto alto fino al cimitero di Albano: poi però Malafitto basso sembra superare il palazzo domizianeo, con le sue tre cisterne di servizio, e dirigersi verso l'attuale abitato di Castel Gandolfo. Nonostante non sia possibile individuarne l'ultima parte del tracciato, sembra certo che questo acquedotto si dirigesse verso la grande cisterna Torlonia nella zona dell'Ercolano, tra Castel Gandolfo e la via Appia, nella zona settentrionale della tenuta domizianea.[53] Il Lugli esclude che possa trattarsi di un acquedotto di servizio della più antica villa di Clodio che sorgeva nella zona:[53] ma ritiene possibile che il tracciato dell'acquedotto possa essere stato risistemato ed allungato dal palazzo domizianeo fino alla cisterna Torlonia nel II secolo per servire quella nuova parte del possedimento imperiale.[53] Inoltre crede anche che esistesse un braccio dell'acquedotto diretto verso l'anfiteatro romano di Albano Laziale, scavato in età severiana in concomitanza con la costruzione di quella struttura e dei Castra Albana.[53]


Infine, esiste una questione riguardante l'acquedotto dell'Aqua Augusta, identificato nel 1872 da Giovanni Battista de Rossi grazie a cinque cippi rinvenuti in diverse proprietà tra i Campi d'Annibale, presso Rocca di Papa, e le pendici di Monte Cavo.[54] Dato che non sono stati rinvenuti altri cippi di questo acquedotto in altre zone, l'unica ipotesi possibile è che servisse alla villa romana identificata sulle rive del lago Albano sotto Palazzolo, attribuita ad Augusto dagli archeologi ottocenteschi.[54] Il Lugli ammette anche che questo acquedotto possa in età posteriore essere stato captato fino a quello delle Cento Bocche.[54]


Le cisterne

Magnifying glass icon mgx2.svg     Lo stesso argomento in dettaglio: Cisterne romane.

Nell'ambito della villa di Domiziano o delle strutture in qualche modo ad essa collegate (come i Castra Albana di epoca severiana), si trovano alcune delle cisterne più vaste della romanità.


Attorno al palazzo domizianeo sono state trovate tre cisterne di servizio: tutte e tre oggi sono incluse nella proprietà pontificia del collegio di Propaganda Fide. Due di esse sono state inglobate nell'edificio, costruito nel 1619 come convento dei frati minori riformati. La più grande tra le due doveva avere 3 navate e 9 fornici; il pavimento era in cocciopesto.[55] L'altra, più piccola, aveva 5 fornici di lunghezza ma non è possibile appurare la larghezza.[55] Le murature di entrambe sono realizzate in opera reticolata. Entrambe sono finite sotto terra, ma in origine dovevano essere almeno in parte scoperte.[55]


La più vasta tra le tre cisterne attigue al palazzo è lunga 123 metri complessivi,[40] orientata in senso nord-sud ed è articolata in tre ambienti comunicanti: il primo lungo 57.70 metri e largo 10.95,[56] il secondo 35.50 ed il terzo 29.50, entrambi larghi 10.40 metri.[56] La cisterna era servita dall'acquedotto di Malafitto alto: l'acqua cadeva nel primo ambiente dall'alto, da una sorta di pozzo circolare situato sul lato est; da lì passava, depurata delle sostanze estranee che si depositavano sul fondo, nel secondo ambiente, e da lì di nuovo ulteriormente purificata nel terzo ambiente, da cui era pronta per l'estrazione.[56] I tratti non scavati nella roccia sono costruiti con un muro in opera reticolata spesso 1.80, rinforzato a tratti da bipedali (tecnica costruttiva tipica di età domizianea); l'intonaco a pietrisco compatto è spesso 7 centimetri.[56]


Esistevano poi altre cisterne più piccole sparse per la villa e la vasta tenuta: una è stata rinvenuta sotto l'ippodromo, ed è lunga 41 metri e larga circa un paio di metri.[49] Un'altra, di dimensioni 7.60 metri per 2.50, alta circa 7 metri, è stata scoperta sulla riva del lago Albano, alla fine del tratto in discesa dell'attuale strada statale 140 del lago Albano, e probabilmente serviva un'antica villa inglobata nelle proprietà imperiali.[57]


La più grande tra le cisterne estranee al complesso residenziale tuttavia è la cosiddetta "piscina Torlonia", situata nelle antiche proprietà dei Torlonia, oggi completamente urbanizzate con il nome di Borgo San Paolo, tra l'abitato di Castel Gandolfo e la via Appia Nuova, in quel tratto coincidente con l'Antica. Questa cisterna conta 6 navate, è lunga 43.48 metri per 31.80 metri di larghezza;[58] l'intercolumnio tra i pilastri è di 4.30 metri, e perciò si vengono a creare delle volte quadrate perfette. I pilastri sono in opera laterizia, le mura perimetrali in opera mista di laterizio e cubilia di peperino.[58] Però la fattura più tarda dell'epoca rispetto al complesso domizianeo è denunciata dalla maggior trascuratezza della veste reticolata e dalla differente consistenza della malta:[59] perciò il Lugli ha dedotto che si tratti di una costruzione di epoca traianea o adrianea, servita dal coevo acquedotto di Malafitto basso (di cui però non si è trovato l'ultimo tratto, quello che arrivava fino alla cisterna).[59]


La rete stradale


Un tratto del diverticolo che partiva dal XVI miglio dell'Appia, riemerso durante i lavori per una pista ciclabile nel 2013.

C'erano due diverticoli che dalla via Appia portavano alla zona residenziale della villa. Il primo, probabilmente l'accesso principale da Roma, partiva al XIV miglio dell'Appia Antica (vicino all'attuale stazione di Villetta sulla ferrovia Roma-Albano) e risaliva il pendio su un terrapieno fino al criptoportico, che costituiva una via tecta (accesso coperto) al palazzo vero e proprio.[10] Da questa strada, prima del criptoportico, partiva probabilmente anche una traversa per l'ippodromo.[10]


Un altro accesso invece ricalcava in parte il tracciato moderno della galleria di Sotto, tra l'inizio di Albano (XVI miglio dell'Appia Antica) e la cappella lungo il muro di recinzione delle Ville Pontificie: anzi, fino alla metà dell'Ottocento sarebbe rimasto in situ un tratto di circa 180 metri ancora basolato[60] (parte del basolato è riemerso nel 2013, durante i lavori per la realizzazione di una pista ciclabile sul sito della dismessa tranvia dei Castelli Romani).[61] Poi, dalla cappella, la strada romana risaliva fino al palazzo, arrivando anch'essa al criptoportico ma dall'altra parte.[60] Giuseppe Lugli credette che la funzione di questa strada non fosse tanto collegare il palazzo all'Appia ed a Roma, quanto piuttosto metterlo in collegamento con la preesistente villa di Pompeo all'interno dell'odierna villa Doria, verso cui la via romana sembra dirigersi.[60] Peraltro all'incrocio tra la galleria di Sotto e l'Appia ancor oggi si vedono alcuni blocchi squadrati di peperino incastonati nel muro delle Ville Pontificie, probabilmente appartenenti ad un antico altare.[60]


Il Lugli, nel corso dei suoi studi sulla villa di Domiziano, i cui risultati furono pubblicati tra il 1917 ed il 1922, si dedicò alacremente a disegnare tutta la viabilità della villa, anche quella interna. Così nel 1919, assieme al direttore della Scuola Britannica di Roma, Thomas Ashby, individuò la strada che girava intorno al lago da sud, fino a Palazzolo, correndo parallela all'acquedotto di Malafitto basso.[62] D'altra parte, altre due strade accompagnavano il tracciato degli acquedotti delle Cento Bocche, più in basso, e di Malafitto alto, più in alto: La prima di queste due partiva dalla terrazza a mezza costa sul lago precedentemente descritta.[62] E sempre da quella terrazza, si snodavano verosimilmente altri due percorsi, che conducevano alla riva del lago: una strada più agevole, che correva parallelamente alla ferrovia Roma-Albano e poi alla moderna strada statale 140 del lago Albano fino al ninfeo Dorico ed all'edificio ad esso attiguo;[62] e poi un sentiero che scendeva tortuosamente sulla riva del lago, dove erano le banchine.[62]


Al lago doveva scendere anche un sentiero dal Colle dei Cappuccini,[62] ed un altro sentiero antico ricalcava l'attuale via Boni Piemonte.[62] Non è stato possibile al Lugli individuare altri sentieri sulla parte orientale e meridionale del lago: di sicuro egli però ne ipotizza uno presso i ruderi della villa attribuita ad Augusto, sotto Palazzolo.[62]


Infine, la via che aggirava a nord il lago era l'unica possibile, ossia l'attuale via Maremmana che da Castel Gandolfo va a Marino.[62] A questa strada si ricollegavano altri due diverticoli della via Appia, sostanzialmente ricalcati delle attuali vie dell'Ercolano (chilometro 23 della via Appia Nuova) e dal primo tratto della statale 140 del lago Albano, meglio nota come "Olmata del Papa" (chilometro 22 della via Appia Nuova).[62]


I resti sulla riva del lago

Magnifying glass icon mgx2.svg     Lo stesso argomento in dettaglio: Lago Albano.

Nel descrivere i resti presenti lungo le rive del lago Albano riconducibili alla villa di Domiziano o alle ville preesistenti, bisogna tenere conto di un dato fondamentale: mentre la linea di costa si era mantenuta (per quanto possiamo intuire) sostanzialmente stabile dall'età romana fino alle prime indagini archeologiche scientifiche nella zona, condotte all'inizio del Novecento, a partire dagli anni ottanta il livello delle acque del lago si è notevolmente abbassato. Dal 1980 al 1985 l'abbassamento è stato di cinquanta centimetri; dal 1985 al 1995 di due metri; dal 1995 al 2005 di quattro metri: e questo al netto dell'oscillazione media dei laghi.[63] La responsabilità viene attribuita principalmente ai pozzi abusivi che attingono alla falda acquifera, o addirittura al lago stesso (come nel caso della cosiddetta "Cabina del Papa" che pompa l'acqua fino alle Ville Pontificie). Di certo la mancanza di 21 milioni di metri cubi d'acqua in trent'anni ha avuto conseguenze notevoli: molti pontili sono rimasti a secco, l'emissario artificiale romano è rimasto molto sopra il nuovo livello delle acque, persino i moli in cemento armato costruiti per le gare di canottaggio delle Olimpiadi di Roma del 1960 sono ormai completamente scoperti. Questo fenomeno, in compenso, agevola la scoperta dei reperti archeologici, costituiti in particolare da ampi tratti di banchine.


Le banchine


Colle dei Cappuccini: i sentieri che scendono al lago lungo il crinale sono praticamente gli stessi dell'età romana.

Il primo studio organico sulle banchine del lago e sugli edifici vicini fu compiuto nel 1919 da Giuseppe Lugli e Thomas Ashby. I due eminenti studiosi non solo esplorarono le sponde del lago a piedi, a volte anche calandosi in acqua, ma effettuarono anche una ricognizione aerea a bordo del dirigibile "Roma" della Regia Aeronautica.[64]


La conclusione dei loro studi fu che la banchina non era unica,[64] ma risulta dalla somma di pezzi di banchine pertinenti a varie ville private o strutture di epoca diversa.[65] In particolare, le banchine si concentrano sulla riva occidentale ed orientale, mentre non risultano presenti strutture analoghe sulla riva meridionale o su quella settentrionale.[66] I due studiosi considerarono anche la confusione possibile tra massi caduti dagli edifici più a monte ed i massi spostati della banchina: questi ultimi sono riconoscibili per le dimensioni tipiche oscillanti tra 90 centimetri ed un metro.[64]


La banchina orientale incomincia presso la località Il Cantone, ossia presso la moderna chiesa della Madonna del Lago, e finisce in località Acqua Acetosa, dove oggi c'è il tornante della strada statale 140 del lago Albano nel tratto spiaggia del lago-via dei Laghi. Qui il Lugli e l'Ashby trovarono avanzi di tre ville in successione databili al I secolo, ognuna con il suo scalo a lago.[65]


La banchina occidentale invece comincia presso l'attuale innesto della statale 140 del lago Albano nel tratto spiaggia del lago-Castel Gandolfo, e prosegue fino al ninfeo del Bergantino, in linea d'aria sotto la stazione di Castel Gandolfo sulla ferrovia Roma-Albano, presso lo stadio di canottaggio realizzato dal CONI per le Olimpiadi di Roma del 1960. Su questo tratto si trovano le presenza più monumentali: il ninfeo Dorico e quello del Bergantino, cui va dedicata una trattazione a parte nel paragrafo seguente, resti di un criptoportico probabilmente relativo ad una villa,[67] ed una struttura riconosciuta come un faro. La prima parte della banchina, presso il ninfeo Dorico, va datata alla tarda età repubblicana, e vi si sono riconosciute una o due ville successivamente inglobate nel complesso domizianeo. Tutto il restante tratto, invece, è di epoca domizianea, incluso il ninfeo del Bergantino ed il faro.[65]


I ninfei


Il ninfeo dorico.


Il ninfeo del Bergantino.

I due ninfei sulla riva del lago sono strutture affascinanti quanto misteriose. Il ninfeo dorico fu riscoperto probabilmente nel 1723, poiché se ne trova menzione in una memoria di Francesco de' Ficoroni (lo scopritore della celebre Cista Ficoroni). Entrambi i ninfei furono raffigurati da Giovanni Battista Piranesi.


Il ninfeo dorico

Il ninfeo dorico è datato all'età repubblicana. Presenta infatti analogie con quello di Egeria alla Caffarella, Appio-Latino: probabilmente anche il ninfeo dorico era un tempietto, magari costruito sui luoghi dell'antica Alba Longa.


Al di là della funzione di questa struttura, che rimane oscura, il ninfeo si presenta come uno spazio rettangolare su cui si aprono due bracci di nicchioni disposti su due ordini. L'ordine del primo piano è dorico (da cui il nome del ninfeo), quello del secondo piano ionico. I due bracci hanno 7 ed 11 nicchie. Al centro, di fronte a chi entra nel ninfeo, c'è un arco che introduce a delle grotte naturali, probabilmente un'antica sorgente.


Il ninfeo del Bergantino

Magnifying glass icon mgx2.svg     Lo stesso argomento in dettaglio: Ninfeo del Bergantino.

Il ninfeo del Bergantino deve il suo nome ad un antico proprietario (secondo il Lugli) oppure alla corruzione del vocabolo "brigantino", tipologia di veliero, dato che la grotta del ninfeo poteva essere usata come rimessa di barche.[68]


Consiste in un complesso di grotte naturali riadattate all'uso dell'uomo. Le pareti sono state rivestite da una muratura in opus mixtum, che denuncia la datazione domizianea della struttura. Tuttavia i costruttori ebbero l'accortezza di lasciare un'intercapedine tra la viva roccia di peperino e la muratura, per evitare le infiltrazioni di umidità. I pilastri e le volte di rinforzo sono in laterizi, il grande arco dell'ingresso alla grotta in bipedali. La conformazione, apparentemente dimessa e casuale ma in realtà fortemente riadattata dall'uomo, è un'altra spia dell'attribuzione a Domiziano del ninfeo.


La grotta principale ha un diametro di 17 metri; l'arco d'ingresso è alto una cinquantina di metri; il bacino della grotta principale è largo 13 metri e profondo 25, e presenta un canale di sversamento a lago.[68]


Nel 1841 alcuni scavi, avviati prima abusivamente e poi sotto il controllo del cardinale camerlengo, portarono alla luce abbondanti reperti di statue e mosaici, in parte conservati presso le Ville pontificie di Castel Gandolfo.[68]


L'emissario

L'emissario artificiale del lago Albano è di molto precedente alla villa di Domiziano: datato dalla tradizione all'epoca della distruzione di Veio, si vuole che sia stato costruito in 100-150 giorni tra il 398 ed il 397 a.C. con l'apporto di 30.000 uomini.[69] A tutti gli effetti l'emissario è un'opera ciclopica dati i modesti mezzi dell'epoca. Il cunicolo è lungo 1350 metri, largo tra un metro ed un metro e ottanta, alto circa 1.70 metri; presenta attualmente solo cinque pozzi d'aerazione, e corre 128 metri sotto la superficie.[69] Originariamente si trovava tredici metri sotto il livello del lago,[69] ma oggi è abbondantemente scoperto a causa dell'abbassamento del livello. Inizia circa cinquecento metri oltre il ninfeo del Bergantino, e sbuca dall'altra parte in località Mole di Castel Gandolfo, che conservano il ricordo delle mole anticamente azionate dalle acque di sversamento del lago.


La Rotonda

Magnifying glass icon mgx2.svg     Lo stesso argomento in dettaglio: Santuario di Santa Maria della Rotonda.


La facciata dell'ex-ninfeo, ricostruita nel 1935-1938 dopo l'abbattimento della facciata barocca.

Questo singolare edificio ha pianta cilindrica inscritta in un cubo, a somiglianza (in scala ridotta) del Pantheon di Roma, di cui imita pure il foro centrale.[70] Il suo diametro, ad oggi, è di 16.10 metri; la circonferenza massima è 49.10 metri.[71] Tutta la struttura è realizzata in opus mixtum.


Non è chiaro a quale scopo Domiziano avesse fatto costruire questa struttura piuttosto lontano dal complesso residenziale della sua villa. In passato si credeva fosse un tempio dedicato a Minerva o al Sole ed alla Luna,[72] ma Giuseppe Lugli obiettò che non aveva la pianta di un tipico tempio romano,[73] e perciò credette fosse un ninfeo isolato, opinione oggi condivisa dai più.[71][74]


In epoca severiana questa struttura fu inglobata nel perimetro murato dei Castra Albana e riadattata ad impianto termale ad uso dei legionari: a questa fase risalgono i mosaici del pavimento e l'anticamera rettangolare antistante l'ingresso.[71] Probabilmente tra il IX ed il X secolo fu riconvertita in luogo di culto, ed accolse un'immagine orientale della Madonna databile al VI-VII secolo.[75] Si ha memoria di una prima consacrazione del luogo di culto nel 1060 ad opera di monaci basiliani della vicina abbazia di Grottaferrata,[75] di una seconda nel 1316 ad opera di monache agostiniane.[75] Nel 1444 fu concessa ai monaci girolamini della basilica dei Santi Bonifacio ed Alessio all'Aventino in Roma,[75] e nel 1663 fu acquistata dalla diocesi suburbicaria di Albano che avviò importanti lavori di risistemazione:[75] il ninfeo domizianeo divenne una chiesa barocca.


L'impalcatura barocca, arricchitasi nel corso dei secoli, venne completamente smantellata dai restauri del 1935-1938, che riportarono l'edificio all'aspetto originario, riabbassando il pavimento al livello originario, 3.30 metri sotto il piano stradale moderno.[75] Nel corso dei restauri fu scoperto un ciclo di affreschi trecenteschi raffiguranti la Storia della Vera Croce, restaurati nel 1979.[76]


La guarnigione

Magnifying glass icon mgx2.svg     Lo stesso argomento in dettaglio: Castra Albana.

È opinione comune che presso la villa fin dall'epoca domizianea esistesse una guarnigione stabile o perlomeno un alloggiamento di pretoriani di guardia all'imperatore. Da questo primordiale nucleo probabilmente sorsero i Castra Albana fondati da Settimio Severo.[77]


Questo imperatore infatti, già comandante delle legioni della Pannonia, conquistò il trono dopo i tumulti seguiti all'assassinio di Commodo, sconfiggendo quattro rivali nel giro di cinque anni. Sciolse la guardia pretoriana, ormai più fonte di insicurezza che di protezione per la persona dell'imperatore, e pensò di affidare la difesa della capitale imperiale ai suoi fedeli veterani della campagna partica, la Legio II Parthica. Questi uomini furono installati ai margini della proprietà imperiale dell'Albanum, edificando le grandi strutture dei Castra Albana tuttora visibili nel centro storico di Albano.


I Castra furono dotati dal figlio di Settimio Severo, Caracalla, delle imponenti strutture delle cosiddette Terme di Caracalla, o "di Cellomaio", e dell'anfiteatro romano di Albano Laziale. All'interno dell'accampamento si trovava una delle più vaste cisterne d'acqua dell'antichità, note oggi con il nome di "Cisternoni", della capacità di 10.000 m³ d'acqua.[78] Intorno all'accampamento, specie in località Selvotta, si trovano i semplici sepolcri dei legionari partici.


Note

^ Pino Chiarucci, La civiltà laziale e gli insediamenti albani in particolare', in Atti del corso di archeologia tenutosi presso il Museo civico di Albano Laziale nel 1982-1983, p. 39, Albano Laziale 1983.

^ Nibby, p. 61

^ Girolamo Torquati, Studi storico-archeologici sulla città e sul territorio di Marino - vol. I, Marino 1974.

^ Lugli 1918, p. 61

^ Lugli 1915, pp. 15-32

^ Lugli 1915, pp. 33-47

^ Lugli 1915, pp. 7-14

^ a b Lugli 1915, pp. 57-68

^ Nibby, p. 78

^ a b c d Lugli 1918, p. 17

^ a b c Lugli 1918, p. 4

^ Nibby, p. 84

^ a b Sito ufficiale dello Stato della Città del vaticano - Castel Gandolfo, su vaticanstate.va. URL consultato il 3 ottobre 2011.

^ Liber Pontificalis, XXXIV 30, su thelatinlibrary.com. URL consultato il 3 ottobre 2011..

^ a b c d Rodolfo Lanciani, Storia degli scavi di Roma e notizie intorno le collezioni romane di antichità, Roma, Loescher, 1902 (TXT), su archive.org. URL consultato il 3 ottobre 2011.

^ Vedi anche Santuario di Santa Maria della Rotonda.

^ a b c Antonio Maria Colini, Ricordo di Giuseppe Lugli., su inasa-roma.it. URL consultato il 3 ottobre 2011.

^ Moroni, p. 166

^ Petrillo, p. 11

^ Petrillo, p. 12

^ Petrillo, p. 25

^ Accordo fra la Santa Sede e l'Italia per una nuova determinazione della zona extraterritoriale costituita dalle Ville Pontificie di Castel Gandolfo-Albano Laziale (24 aprile 1948) (PDF), su host.uniroma3.it. URL consultato il 2 ottobre 2011.

^ Petrillo, pp. 26-27

^ Petrillo, p. 31

^ Vedi anche Bombardamento di Propaganda Fide.

^ Statuto dell'Associazione Famigliari Vittime di "Propaganda Fide", art. 2 comma 2 (ultimo aggiornamento 13 maggio 2010), su 10febbraio1944.it. URL consultato il 27 settembre 2011.

^ Nisio, p. 83

^ Lugli 1920, p. 7

^ Parco Regionale dei Castelli Romani, L'ambiente naturale del Parco Regionale dei Castelli Romani, pp. 3-8.

^ a b c Lugli 1918, parte I pp. 13-15

^ Museo civico di Albano Laziale - Villa romana ai Cavallacci (ultimo aggiornamento al luglio 2011), su museicivicialbano.it. URL consultato il 25 settembre 2011.

^ Cadario 2012, p. 260.

^ a b Lugli 1920, parte II pp. 18-19

^ Lugli 1920, parte II p. 23

^ Lugli 1920, parte II p. 24

^ Lugli 1971, pp. 90-91

^ a b Lugli 1920, parte II p. 25

^ Lugli 1920, parte II p. 20

^ a b c d e Lugli 1920, pp. 30-32

^ a b c d Coarelli, p. 75

^ Lugli 1918, p. 14

^ a b c d Lugli 1920, pp. 35-36

^ a b c d e f g Coarelli, p. 76

^ a b c d e f g Lugli 1920, pp. 57-59

^ Nibby, p. 97

^ a b c d e f g h Lugli 1920, pp. 40-48

^ Lugli 1920, pp. 48-56

^ a b c d Lugli 1920, pp. 64-66

^ a b Lugli 1920, pp. 67-68

^ a b Lugli 1920, pp. 60-61

^ a b c d e f g Lugli 1918, pp. 30-33

^ a b c d e f Lugli 1918, pp. 35-38

^ a b c d e f Lugli 1918, pp. 33-35

^ a b c Lugli 1918, pp. 38-41

^ a b c Lugli 1918, pp. 12-13

^ a b c d Lugli 1918, pp. 5-11

^ Lugli 1921, pp. 29

^ a b Lugli 1921, pp. 37-42

^ a b Lugli 1921, pp. 43

^ a b c d Lugli 1918, p. 19

^ Castelli RomaToday - Francesca Ragno, Castel Gandolfo: al via i lavori per la pista ciclabile fino ad Albano (23-04-2012), su castelli.romatoday.it. URL consultato il 14-07-2013.

^ a b c d e f g h i Lugli 1918, p. 7

^ Legambiente - Goletta dei laghi, Goletta dei laghi fa tappa ai Castelli Romani, 3 luglio 2010, su docs.google.com. URL consultato il 25 maggio 2011.

^ a b c Lugli 1921, pp. 17-18

^ a b c Lugli 1921, p. 31

^ Lugli 1921, p. 30

^ Lugli 1921, p. 13

^ a b c Nisio, pp. 79-83

^ a b c Nisio, pp. 83-85

^ Giuseppe Lugli, La "Rotonda" di Albano, in Il tempio di Santa Maria della Rotonda, p. 67, Albano Laziale 1972.

^ a b c Coarelli, p. 88

^ Giovanni Battista de Rossi, Bullettino dell'archeologia cristiana 1884, p. 84.

^ Giuseppe Lugli, Castra Albana - Un accampamento romano fortificato al XV miglio della via Appia, pp. 245-248.

^ Pino Chiarucci, Albano Laziale, pp. 58-59.

^ a b c d e f Alberto Galieti, Le vicende di Albano intorno al suo centro spirituale, la Rotonda, in AA.VV., Il tempio di Santa Maria della Rotonda, pp. 34-50.

^ Mariano Apa, Santa Maria della Rotonda - Storia e affreschi, p. 20, Albano Laziale 1981.

^ Nibby, p. 79

^ Museo civico di Albano Laziale - I Cisternoni, su museicivicialbano.it. URL consultato il 3 ottobre 2011.

Bibliografia

Matteo Cadario, I giorni di Roma. L'età dell'equilibrio (98-180 d.C.), a cura di Eugenio La Rocca e Claudio Parisi Presicce, 2012, ISBN 978-88-905853-0-2.

Gaetano Moroni, vol. V, in Dizionario di erudizione storico-ecclesiastica, Iª ed., Venezia, Tipografia Emiliana, 1844. ISBN non esistente

Antonio Nibby, vol. I, in Analisi storico-topografico-antiquaria della carta de' dintorni di Roma, IIª ed., Roma, Tipografia delle Belle Arti, 1848, pp. 546. ISBN non esistente

Giuseppe Lugli, Le antiche ville dei Colli Albani prima dell'occupazione domizianea, Roma, Loescher, 1915. ISBN non esistente

Giuseppe Lugli, La villa di Domiziano sui Colli Albani: parte I, Roma, Maglione & Strini, 1918. ISBN non esistente

Giuseppe Lugli, La villa di Domiziano sui Colli Albani: parte II, Roma, Maglione & Strini, 1920. ISBN non esistente

Giuseppe Lugli, La villa di Domiziano sui Colli Albani: parte III, Roma, Maglione & Strini, 1921. ISBN non esistente

Giuseppe Lugli, La villa di Domiziano sui Colli Albani: parte IV, Roma, Maglione & Strini, 1922. ISBN non esistente

Giuseppe Lugli, Il Foro Romano e il Palatino, Roma, Bardi Editore, 1971. ISBN non esistente

Filippo Coarelli, Guide archeologiche Laterza - Dintorni di Roma, Bari-Roma, Casa editrice Giuseppe Laterza & figli, 1981. CL 20-1848-9

Saverio Petrillo, I papi a Castel Gandolfo, Velletri, Edizioni Tra 8 & 9, 1995. ISBN non esistente

Graziano Nisio, Dalla leggendaria Alba Longa a Castel Gandolfo, Castel Gandolfo, Il Vecchio Focolare, 2008. ISBN non esistente

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Villa Adriana

Ville Pontificie di Castel Gandolfo

Anfiteatro romano di Albano Laziale

Terme di Caracalla (Albano)

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La villa di Domiziano a Castel Gandolfo

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La villa di Domiziano a Castel Gandolfo Paolo Liverani

5454

rinvenute in altre parti della villa, di cui si dirà più avanti.Il ripiano più importante era certamen-te quello mediano. Qui si concentravano le strutture di maggiore impegno monumentale e di rappresentanza. Vi trovava posto il corpo principale del palazzo imperiale, attualmente diviso tra la proprietà pontificia e quella di

Figg. 2-3 - G.B. P, 1762: vedute delle sostruzioni della villa di Domiziano (Foto Musei Vaticani)


Residenze Imperiali nel Lazio

Tusculana 2

5555

Propaganda Fide. Si tratta della parte meno nota di tutto il complesso, ricostruibile nelle grandi linee solo sulla base dei vecchi rilievi ottocenteschi del Rosa,

2

che vide i resti in uno stato probabilmente migliore dell’attuale.Dopo gli studi ancora fondamentali del Lugli sono poche le acquisizioni significati- ve. Ricordo solo i saggi di Filippo Magi sul lato occidentale del palazzo, all’angolo con le sostruzioni del ripiano superiore.

3

Secondo il Rosa si potevano riconoscere almeno tre piani che coprivano il salto di quota tra il ripiano superiore e quello mediano.A nord-ovest del palazzo si estende la grandiosa sostruzione che sorregge il ripiano superiore, animata da quattro grandi nicchio-ni che servivano da ninfei

4

e che da sempre formano uno degli elementi più caratteristici e suggestivi della villa imperiale. Ne restano numerose riproduzioni da parte di turisti e di artisti: ricordo diversi disegni seicenteschi in codici vaticani

5

o nel Museo Cartaceo di Cas-siano del Pozzo,

6

nonché le famosissime vedu-te del Piranesi (

figg. 2-3

).

7

A metà circa di questo muraglione è il cu-nicolo che attraversa la cresta del cratere e che serviva come scorciatoia all’imperatore quan-do voleva recarsi al lago.

8

All’estremità nord-occidentale della sostru-zione si trova il piccolo teatro della villa (

fig. 4

), dove si svolgevano abitualmente i ludi sce-nici per celebrare i

Quinquatria Minervae

, la festività che ricorreva dal 19 al 23 marzo. È probabile che anche le gare poetiche e oratorie che si tenevano in quest’occasione si svolges-sero nello stesso luogo.

9

Le prime notizie sullo scavo risalgono al 1657. In questi scavi

10

si rinvennero i quat-tro esemplari del satiro versante di Prassite-le,

11

che entrarono nella collezione Chigi.

12

Attualmente sono divisi tra Dresda, il British Museum e il Museo Getty. Vennero inoltre alla luce un paio di fistole plumbee

13

ed è pro-babile che dagli stessi scavi vengano anche il cornicione e l’architrave disegnati in un co-dice barberiniano della Biblioteca Vaticana,

14

in quanto appaiono identici ai frammenti ar-chitettonici rinvenuti successivamente (

fig. 5

) , probabilmente durante gli scavi Lanciani della fine dell’800.

15

Tra Otto- e Novecento, in diverse riprese, è stata messa alla luce tutta l’orchestra, buona parte della cavea, con il sottostante corridoio,

Fig. 4 - Il teatro della villa di Domiziano (Foto Musei Vati-cani)Fig. 5 - Cornicione probabilmente dalla porticus del teatro di Domiziano (Foto Musei Vaticani)


La villa di Domiziano a Castel Gandolfo Paolo Liverani

5656

il pulpito e una piccolissima parte della sce-na.

16

Alle spalle di quest’ultima doveva esten-dersi un portico sostenuto dai terrazzamenti che tuttora sostengono il moderno piazzale. Henner von Hesberg ha in corso di pubbli-cazione uno studio con la ricostruzione del teatro e della sua decorazione architettonica, presentato in via preliminare alcuni anni fa

17

e più di recente in un seminario dell’Istituto Archeologico Germanico di Roma.

18

I fram-menti architettonici sono esposti parte sul po-sto e parte nel piccolo antiquarium della villa pontificia.Nel muraglione con i nicchioni, in un pun-to adiacente al teatro erano murati anche al-cuni frammenti interessanti non solo in sé, ma anche perché furono disegnati da Piranesi: al-ludo in particolare a un rilievo con scena di sa-crificio e a un cumulo d’armi. Di recente sono stati restaurati e portati nell’antiquarium per difenderli dalle intemperie.

19

Il terzo terrazzamento, infine, era quello più vasto e articolato. Lo divideva dal ripia-no mediano un colossale criptoportico (

fig. 6

), uno dei più monumentali del mondo romano, che – come si è accennato – sostituiva in parte un terrazzamento anteriore più modesto. Del grande criptoportico domizianeo si conser- va piuttosto bene solo la parte sud-orientale, che costituisce circa un terzo dell’originaria lunghezza, mentre quella nord-occidentale appare crollata fin dalle prime immagini che possediamo della villa.

20

Un indizio sull’epoca del crollo si può tro- vare nel diario di viaggio di una nobildonna tedesca che nel 1806 visitò villa Barberini. La contessa Elisa von der Recke, infatti, riferisce che – in epoca di poco anteriore alla sua visita – era stata scoperta una necropoli all’interno del criptoportico e che il “castellano” – verosimil-mente il principe Barberini – le aveva raccon-tato che le teste degli scheletri erano protette da tegole e avevano talvolta monete in bocca, alcune delle quali la contessa ebbe in dono. Si trattava di una piccola moneta d’argento con l’immagine di Faustina e di due in bronzo in cui si leggeva il nome di Settimio Severo e Caracalla e si riconosceva il loro ritratto.

21

Se dunque un monumento che pure conserva tracce della sua lussuosa ornamentazione era stato declassato a luogo di sepoltura, è leci-to pensare che già verso la fine del II – inizi del III sec. fosse stato danneggiato da uno dei terremoti non infrequenti in questa zona, an-che se in genere non molto violenti. La parte crollata è infatti quella nord-occidentale che, a differenza della sezione sopravvissuta, in que-sto tratto aveva larghe finestre che ne indebo-livano la struttura.In questo modo si spiegano forse anche le sepolture di tipo simile, ma di età imprecisata, che furono rinvenute nel 1909 nel piazzale die-tro alla scena del teatro,

22

che – come s’è detto – nell’epoca di splendore della villa doveva es-sere occupato da un quadriportico. D’altronde già Lugli aveva ipotizzato una decadenza del-la villa in età severiana, quando cioè nell’area della tenuta imperiale – in corrispondenza dell’attuale cittadina di Albano – erano stati edificati da Settimio Severo i

Castra Albana

per la fedelissima seconda Legione Partica, che l’imperatore si era portato dall’oriente per evidenti ragioni di sicurezza.Per continuare l’analisi del ripiano infe-riore della villa, si deve ricordare almeno la presenza, a sud-ovest del nucleo del palazzo,

Fig. 6 - Criptoportico, veduta dell’interno (Foto Musei Va-ticani)


Residenze Imperiali nel Lazio

Tusculana 2

5757

del cosiddetto Ippodromo: un’area recintata da due murature parallele, allineate con le so-struzioni dei ripiani e chiusa a nord-ovest a semicerchio, mentre non è chiara la sua con-clusione sud-orientale. In realtà si tratta di una sistemazione a giardino e non di un vero ippo-dromo,

23

anche se verso il 1930 l’illusione del nome era stata rafforzata dal rinvenimento, in questa zona, di un monumento equestre (

fig. 7

).

24

Esso sembrava particolarmente adatto a un ippodromo, ma in realtà un esame più at-tento mostra la presenza di una serie di inte-grazioni seicentesche, per cui dobbiamo rite-nere che sia stato posto qui dai Barberini e che sia successivamente caduto e rimasto sepolto, così da dare l’illusione di una sua pertinenza alla decorazione originale della villa imperia-le.

25

Di recente il monumento è stato spostato nei giardini della villa pontificia per dargli un maggiore risalto e allo stesso tempo una mi-gliore protezione dalle infestazioni di lichene che lo avevano aggredito.A conclusione di questa rapida panoramica si possono dare alcune indicazioni riassuntive sulla decorazione scultorea, che doveva arre-dare il parco della villa. Conosciamo infatti il luogo di rinvenimento di alcune sculture venu-te alla luce tra il 1930 e il 1932 durante i lavori di adeguamento, eseguiti dopo l’acquisizione da parte della Santa Sede. Vicino al bordo del terrazzamento mediano, a sud del palazzo im-periale, fu rinvenuta una statua tipo Arianna Valentini (

fig. 8

), attualmente esposta nell’atrio di Villa Barberini.

26

Una decina d’anni fa la scultura è stata nuovamente restaurata e in

Fig. 7 - Monumento equestre (Foto Musei Vaticani)Fig. 8 - Arianna tipo Valentini (Foto Musei Vaticani)


La villa di Domiziano a Castel Gandolfo Paolo Liverani

5858

quell’occasione si è potuto constatare come anche questa scultura sia da datare all’età di Domiziano, contrariamente a quanto riteneva l’autore dello studio più esauriente sul tipo, il Bielefeld, che pensava a una datazione in età antonina.Poco più a nord-ovest nel ripiano inferio-re, a breve distanza dal muro di terrazzamento che sostiene il ripiano mediano, furono rinve-nute diverse altre sculture, anch’esse di note- vole livello qualitativo: si tratta di una replica del Marsia mironiano,

27

attualmente esposta nel Museo Gregoriano Profano in Vaticano,

Fig. 9 - Efebo tipo Westmacott (Foto Musei Vaticani)Fig. 10 - Torso in basanite, tipo atleta di Efeso (Foto Musei Vaticani)


Residenze Imperiali nel Lazio

Tusculana 2

5959

di una dell’Efebo tipo Westmacott

28

(

fig. 9

) e di un magnifico torso in basanite tipo atleta di Efeso (

fig. 10

).

29

Possiamo immaginare che tali statue siano cadute dal margine del terraz-zamento superiore.Se a questi dati più sicuri aggiungiamo con cautela anche i rinvenimenti di altre sculture, di cui non è purtroppo conservata la provenien-za esatta, sembra di poter riconoscere alcune linee di tendenza e di indovinare qualche ele-mento del progetto originario.

30

Innanzitutto è chiaro che Domiziano, o meglio i suoi archi-tetti e arredatori, utilizzarono sia sculture fatte eseguire appositamente per la villa, sia sculture già esistenti, provenienti da altre proprietà im-periali o forse da ville acquisite in vari modi nell’area. Tra queste sculture più antiche dob-biamo per esempio annoverare proprio l’efebo tipo Westmacott e il Marsia. In secondo luogo è possibile aggregare tematicamente o stilisti-camente dei nuclei di sculture. All’efebo e al torso in basanite già citati, infatti, possiamo accostare due torsi tipo fanciullo di Dresda:

31

si tratta in tutti questi casi di sculture che ri-sentono in maniera diretta o indiretta dell’in-flusso policleteo e che sembrano abbastanza coerenti per un programma di decorazione a carattere atletico.Meno caratterizzate da un punto tematico e più genericamente decorative sono alcune sta-tue di dimensioni minori del vero che costitu-iscono repliche da prototipi medio ellenistici, come un satiro, che faceva parte di un gruppo con una ninfa,

32

una Venere tipo Anadyome-ne,

33

un torso di Dioniso, parte di un gruppo in cui il dio ebbro veniva sorretto da un sati-rello,

34

e infine un’erma dell’inverno,

35

parte di una serie rappresentante le quattro stagioni.

NOTE1 Ancora fondamentale G. L,

La villa di Domiziano sui Colli Albani, parte I

,

BullCom

XLVII, 1917, pp. 5-54; L 1918. 2 L 1918, tav. I; G. L,

La villa di Domiziano sui Colli  Albani, parte III

,

BullCom

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, cit. a nota 10, pp. 453-454, nn. 202-203; Suarez, cod.  vat. 9136, ff. 209-213; 9140, ff. 47-48 (cit. da L 1918, p. 15); cod. Barb. lat. 2063, f. 109; cod. Chis. J VI 205, ff. 57-58 (già 56-57) con ottimi calchi; Suarez, cod. vat. lat. 9136, f.

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53

La villa di Domizianoa Castel Gandolfo

Paolo Liverani

L’

Albanum Domitiani

, la villa che l’im-peratore s’era costruito presso l’attuale Castel Gandolfo, si trovava nel cuore di una vastissima proprietà imperiale che, in base a quanto attestano le fonti, abbracciava praticamente tutto il lago di Albano.

1

Il corpo centrale della proprietà si può lo-calizzare nell’area oggi compresa nella villa pontificia, già Barberini, (

fig. 1

) subito a sud della cittadina di Castel Gandolfo e – in parte – nell’ambito della villa della Congregazione di Propaganda Fide, a est della proprietà pon-tificia. Tale area comprende dunque la cresta del cratere vulcanico occupato dal lago di Al-bano e il declivio che scende verso sud-ovest in direzione del mare.  Tale declivio fu suddiviso in terrazzamenti che formano tre ripiani principiali. Almeno per uno di essi, quello mediano, abbiamo tracce di un terrazzamento in opera reticolata anteriore all’intervento di Domiziano, che si riconosce in alcuni tratti dove il muraglione del grande criptoportico flavio ha ceduto, all’altezza del giardino degli aranci.Sul ripiano superiore si trovano le conserve d’acqua, una delle quali particolarmente no-tevole rientra nella proprietà di Propaganda Fide. Esse dovevano essere rifornite dall’acqua piovana e, grazie alla loro posizione elevata, po-tevano distribuire acqua a tutti gli edifici della  villa imperiale. Il resto del pianoro superiore, invece, non doveva essere utilizzato dall’impe-ratore, visto che vi si sono trovate le tracce di un sepolcreto utilizzato per i servi della tenuta. L’evidenza andrebbe però riesaminata per ca-pire la fase di utilizzo, in relazione alle tombe rinvenute in altre parti della villa, di cui si dirà più avanti.Il ripiano più importante era certamen-te quello mediano. Qui si concentravano le strutture di maggiore impegno monumentale e di rappresentanza. Vi trovava posto il corpo principale del palazzo imperiale, attualmente diviso tra la proprietà pontificia e quella di Propaganda Fide. Si tratta della parte meno nota di tutto il complesso, ricostruibile nelle grandi linee solo sulla base dei vecchi rilievi ottocenteschi del Rosa,

2

che vide i resti in uno stato probabilmente migliore dell’attuale.Dopo gli studi ancora fondamentali del Lugli sono poche le acquisizioni significati- ve. Ricordo solo i saggi di Filippo Magi sul lato occidentale del palazzo, all’angolo con le sostruzioni del ripiano superiore.

3

Secondo il Rosa si potevano riconoscere almeno tre piani che coprivano il salto di quota tra il ripiano superiore e quello mediano.A nord-ovest del palazzo si estende la grandiosa sostruzione che sorregge il ripiano superiore, animata da quattro grandi nicchio-ni che servivano da ninfei

4

e che da sempre formano uno degli elementi più caratteristici e suggestivi della villa imperiale. Ne restano numerose riproduzioni da parte di turisti e di artisti: ricordo diversi disegni seicenteschi in codici vaticani

5

o nel Museo Cartaceo di Cas-siano del Pozzo,

6

nonché le famosissime vedu-te del Piranesi (

figg. 2-3

).

7

A metà circa di questo muraglione è il cu-nicolo che attraversa la cresta del cratere e che serviva come scorciatoia all’imperatore quan-do voleva recarsi al lago.

8

All’estremità nord-occidentale della sostru-zione si trova il piccolo teatro della villa (

fig. 4

), dove si svolgevano abitualmente i ludi sce-nici per celebrare i

Quinquatria Minervae

, la festività che ricorreva dal 19 al 23 marzo. È probabile che anche le gare poetiche e oratorie che si tenevano in quest’occasione si svolges-sero nello stesso luogo.

9

Le prime notizie sullo scavo risalgono al 1657. In questi scavi

10

si rinvennero i quat-tro esemplari del satiro versante di Prassite-le,

11

che entrarono nella collezione Chigi.

12

Attualmente sono divisi tra Dresda, il British Museum e il Museo Getty. Vennero inoltre alla luce un paio di fistole plumbee

13

ed è pro-babile che dagli stessi scavi vengano anche il cornicione e l’architrave disegnati in un co-dice barberiniano della Biblioteca Vaticana,

14

in quanto appaiono identici ai frammenti ar-chitettonici rinvenuti successivamente (

fig. 5

) , probabilmente durante gli scavi Lanciani della fine dell’800.

15

Tra Otto- e Novecento, in diverse riprese, è stata messa alla luce tutta l’orchestra, buona parte della cavea, con il sottostante corridoio,  

il pulpito e una piccolissima parte della sce-na.

16

Alle spalle di quest’ultima doveva esten-dersi un portico sostenuto dai terrazzamenti che tuttora sostengono il moderno piazzale. Henner von Hesberg ha in corso di pubbli-cazione uno studio con la ricostruzione del teatro e della sua decorazione architettonica, presentato in via preliminare alcuni anni fa

17

e più di recente in un seminario dell’Istituto Archeologico Germanico di Roma.

18

I fram-menti architettonici sono esposti parte sul po-sto e parte nel piccolo antiquarium della villa pontificia.Nel muraglione con i nicchioni, in un pun-to adiacente al teatro erano murati anche al-cuni frammenti interessanti non solo in sé, ma anche perché furono disegnati da Piranesi: al-ludo in particolare a un rilievo con scena di sa-crificio e a un cumulo d’armi. Di recente sono stati restaurati e portati nell’antiquarium per difenderli dalle intemperie.

19

Il terzo terrazzamento, infine, era quello più vasto e articolato. Lo divideva dal ripia-no mediano un colossale criptoportico (

fig. 6

), uno dei più monumentali del mondo romano, che – come si è accennato – sostituiva in parte un terrazzamento anteriore più modesto. Del grande criptoportico domizianeo si conser-va piuttosto bene solo la parte sud-orientale, che costituisce circa un terzo dell’originaria lunghezza, mentre quella nord-occidentale appare crollata fin dalle prime immagini che possediamo della villa.

20

Un indizio sull’epoca del crollo si può tro- vare nel diario di viaggio di una nobildonna tedesca che nel 1806 visitò villa Barberini. La contessa Elisa von der Recke, infatti, riferisce che – in epoca di poco anteriore alla sua visita – era stata scoperta una necropoli all’interno del criptoportico e che il “castellano” – verosimil-mente il principe Barberini – le aveva raccon-tato che le teste degli scheletri erano protette da tegole e avevano talvolta monete in bocca, alcune delle quali la contessa ebbe in dono. Si trattava di una piccola moneta d’argento con l’immagine di Faustina e di due in bronzo in cui si leggeva il nome di Settimio Severo e Caracalla e si riconosceva il loro ritratto.

21

Se dunque un monumento che pure conserva tracce della sua lussuosa ornamentazione era stato declassato a luogo di sepoltura, è leci-to pensare che già verso la fine del II – inizi del III sec. fosse stato danneggiato da uno dei terremoti non infrequenti in questa zona, an-che se in genere non molto violenti. La parte crollata è infatti quella nord-occidentale che, a differenza della sezione sopravvissuta, in que-sto tratto aveva larghe finestre che ne indebo-livano la struttura.In questo modo si spiegano forse anche le sepolture di tipo simile, ma di età imprecisata, che furono rinvenute nel 1909 nel piazzale die-tro alla scena del teatro,

22

che – come s’è detto – nell’epoca di splendore della villa doveva es-sere occupato da un quadriportico. D’altronde già Lugli aveva ipotizzato una decadenza del-la villa in età severiana, quando cioè nell’area della tenuta imperiale – in corrispondenza dell’attuale cittadina di Albano – erano stati edificati da Settimio Severo i

Castra Albana

per la fedelissima seconda Legione Partica, che l’imperatore si era portato dall’oriente per evidenti ragioni di sicurezza.Per continuare l’analisi del ripiano infe-riore della villa, si deve ricordare almeno la presenza, a sud-ovest del nucleo del palazzo, del cosiddetto Ippodromo: un’area recintata da due murature parallele, allineate con le so-struzioni dei ripiani e chiusa a nord-ovest a semicerchio, mentre non è chiara la sua con-clusione sud-orientale. In realtà si tratta di una sistemazione a giardino e non di un vero ippo-dromo,

23

anche se verso il 1930 l’illusione del nome era stata rafforzata dal rinvenimento, in questa zona, di un monumento equestre (

fig. 7

).

24

Esso sembrava particolarmente adatto a un ippodromo, ma in realtà un esame più at-tento mostra la presenza di una serie di inte-grazioni seicentesche, per cui dobbiamo rite-nere che sia stato posto qui dai Barberini e che sia successivamente caduto e rimasto sepolto, così da dare l’illusione di una sua pertinenza alla decorazione originale della villa imperia-le.

25

Di recente il monumento è stato spostato nei giardini della villa pontificia per dargli un maggiore risalto e allo stesso tempo una mi-gliore protezione dalle infestazioni di lichene che lo avevano aggredito.A conclusione di questa rapida panoramica si possono dare alcune indicazioni riassuntive sulla decorazione scultorea, che doveva arre-dare il parco della villa. Conosciamo infatti il luogo di rinvenimento di alcune sculture venu-te alla luce tra il 1930 e il 1932 durante i lavori di adeguamento, eseguiti dopo l’acquisizione da parte della Santa Sede. Vicino al bordo del terrazzamento mediano, a sud del palazzo im-periale, fu rinvenuta una statua tipo Arianna Valentini (

fig. 8

), attualmente esposta nell’atrio di Villa Barberini.

26

Una decina d’anni fa la scultura è stata nuovamente restaurata e in quell’occasione si è potuto constatare come anche questa scultura sia da datare all’età di Domiziano, contrariamente a quanto riteneva l’autore dello studio più esauriente sul tipo, il Bielefeld, che pensava a una datazione in età antonina.Poco più a nord-ovest nel ripiano inferio-re, a breve distanza dal muro di terrazzamento che sostiene il ripiano mediano, furono rinve-nute diverse altre sculture, anch’esse di note- vole livello qualitativo: si tratta di una replica del Marsia mironiano,

27

attualmente esposta nel Museo Gregoriano Profano in Vaticano, di una dell’Efebo tipo Westmacott

28

(

fig. 9

) e di un magnifico torso in basanite tipo atleta di Efeso (

fig. 10

).

29

Possiamo immaginare che tali statue siano cadute dal margine del terraz-zamento superiore.Se a questi dati più sicuri aggiungiamo con cautela anche i rinvenimenti di altre sculture, di cui non è purtroppo conservata la provenien-za esatta, sembra di poter riconoscere alcune linee di tendenza e di indovinare qualche ele-mento del progetto originario.

30

Innanzitutto è chiaro che Domiziano, o meglio i suoi archi-tetti e arredatori, utilizzarono sia sculture fatte eseguire appositamente per la villa, sia sculture già esistenti, provenienti da altre proprietà im-periali o forse da ville acquisite in vari modi nell’area. Tra queste sculture più antiche dob-biamo per esempio annoverare proprio l’efebo tipo Westmacott e il Marsia. In secondo luogo è possibile aggregare tematicamente o stilisti-camente dei nuclei di sculture. All’efebo e al torso in basanite già citati, infatti, possiamo accostare due torsi tipo fanciullo di Dresda:

31

si tratta in tutti questi casi di sculture che ri-sentono in maniera diretta o indiretta dell’in-flusso policleteo e che sembrano abbastanza coerenti per un programma di decorazione a carattere atletico.Meno caratterizzate da un punto tematico e più genericamente decorative sono alcune sta-tue di dimensioni minori del vero che costitu-iscono repliche da prototipi medio ellenistici, come un satiro, che faceva parte di un gruppo con una ninfa,

32

una Venere tipo Anadyome-ne,

33

un torso di Dioniso, parte di un gruppo in cui il dio ebbro veniva sorretto da un sati-rello,

34

e infine un’erma dell’inverno,

35

parte di una serie rappresentante le quattro stagioni.




Fig. 1 - Pianta della villa di Domiziano nell’area di Villa Barberini: 1. teatro della villa, 2. nicchioni della sostruzione tra i terrazzamenti superiore e mediano, 3. criptoportico di sostruzione tra i terrazzamenti mediano e inferiore, 4 area del palazzo imperiale (da Liverani 1989)

https://www.academia.edu/21561248/La_villa_di_Domiziano_a_Castel_Gandolfo

A cura di Paolo Liverani